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Uno sciopero pienamente riuscito, quello che si è svolto venerdì 19 con manifestazione a Roma. Un tasso di adesione che ha superato il 90% del personale in servizio quel giorno, al netto di quelli comandati per la sicurezza degli impianti, nonostante il tentativo dell’azienda di boicottare la giornata andando negli stabilimenti e nelle fabbriche a convincere i lavoratori delle loro ragioni.

Invece sono stati oltre 3000 i lavoratori presenti in piazza SS. Apostoli provenienti da tutti gli stabilimenti e siti di Eni e Saipem e da tutti territori d’Italia per dire ‘NO’ all’abbandono di Eni dell’Italia, ‘NO’ alla svendita di Versalis, per dire ‘NO’ all’abbandono dei lavoratori di Saipem al loro destino.

Perché la vendita della chimica italiana, la vendita di pezzo fondamentale della storia industriale di questo paese e una trasformazione di Eni in una società di compravendita di petrolio a costo della perdita delle basi industriali italiane, indica un progressivo disimpegno rispetto alla sua presenza in Italia, che significa anche un progressivo ridimensionamento del Paese dal punto di vista industriale e una desertificazione di quei territori, che hanno plasmato la propria infrastrutturazione sulla presenza di Eni e hanno fatto di quella attività la propria ragione di vita economica; la Sicilia, con preoccupante crescita delle tensioni sociali e i blocchi degli ultimi mesi a Gela e Priolo, oppure la Puglia, che, dopo l’Ilva, non merita anche lo smantellamento degli impianti Eni, fino al quadrilatero padano, senza dimenticare la Sardegna, che dopo i casi Alcoa e Sulcis, sotto l’aspetto dell’occupazione non è certo messa bene. Insomma, una mobilitazione che si fa portatrice degli interessi non solo dei lavoratori di Eni e Versalis, ma dell’Italia tutta, fortemente convinti che questo paese possa uscire dalla crisi solo se salverà la sua industria, la sua manifattura – che è ancora la seconda d’Europa – la sua capacità di fare produzione, di trasformare i prodotti, di fare chimica, raffinazione, costruzione di impianti; l’unica speranza per il futuro dell’Italia e per i nostri figli.

Ma la vendita della quota di maggioranza di Versalis non convince anche per la poca chiarezza della strategia dell’azienda, che solo fino a un anno fa intendeva dismettere la raffinazione e che ora, con un prezzo del barile al minimo storico e quindi favorevole a quell’attività di commercializzazione del petrolio, fa marcia indietro e opta invece per la vendita della chimica, sebbene il 2015 sia stato, per stessa ammissione di Descalzi, il primo anno in cui si è avuto un profitto.

La vendita della quota di maggioranza di Versalis ad un fondo, SK Capital, che noi sindacati riteniamo non sufficientemente solido, poi, desta enormi preoccupazioni sotto l’aspetto del mantenimento del perimetro industriale e quello dei livelli occupazionali. E certamente non confortano le parole della stessa Eni, nella nota diramata venerdì pomeriggio scorso, di volere conservare questi rispettivamente per 5 e 3 anni.

Ebbene sì, le preoccupazioni aumentano se pensiamo a questo fondo, come un fondo giovane, nato nel 2009, con appena 18 dipendenti. E andrebbe anche verificata l’ubicazione fiscale del fondo stesso, perché non vorremmo ritrovare Versalis trasferita in qualche paradiso fiscale…

Insomma un fondo che non appare assolutamente avere le dimensioni e le caratteristiche per fare fronte agli investimenti previsti dal piano industriale, con la concreta possibilità di far venire meno il lavoro di riconversione in ‘chimica verde’ al centro di importanti protocolli industriali sottoscritti al il MiSe, partire da Porto Marghera, Porto Torres, Gela. Perché ad oggi stati convertii al verde il 55% dei prodotti delle produzioni di Versalis, ma per completare il progetto servono almeno altri 1,2 miliardi.

Oggi Versalis conta 4 mila dipendenti diretti, 2 mila sono quelli dell’indotto. Ha quattro centri di ricerca e 250 brevetti. È l’erede della Montecatini, di Montedison, della Enichem, della storia della chimica italiana, del premio Nobel a Giulio Natta per l’invenzione del Moplen, che rivoluzionò l’industria chimica. È anche il futuro di tutti quei ricercatori e cervelli che non vorremmo pentirci di avere dovuto lasciare andare all’estero.

Il 30% della quota di controllo di Eni è ancora in mano allo Stato, per questo abbiamo chiesto un incontro al premier Matteo Renzi e alla ministra dello Sviluppo Federica Guidi e indirizzato una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Perché il Governo ha il dovere di dare indirizzi di politica industriale e non lasciare questo compito alla stessa Eni, ha il dovere di prendere una posizione e di non restare un osservatore neutro; obbligo che gli deriva non solo dalla sua autorevolezza politica, ma anche e soprattutto dal ruolo di azionista di riferimento che attualmente ricopre. E per tutti questi motivi non rassicura l’intervento della Guidi al question time in Parlamento di mercoledì scorso, che, seppur abbia riconosciuto la chimica quale settore strategico per il futuro del Pese, ha parlato solo di monitoraggio attento e costante della situazione, definendo altresì SK Capital un fondo affidabile e solido.

La mobilitazione sindacale unitaria si fa portatrice degli interessi non solo dei lavoratori di Eni e Versalis, ma dell’Italia tutta, perché riteniamo che questo paese possa uscire dalla crisi solo se salverà la sua industria, la sua manifattura, che è ancora la seconda d’Europa, la sua capacità di fare produzione, di trasformare i prodotti, di fare chimica, raffinazione, costruzione di impianti; l’unica speranza per il futuro dell’Italia e per i nostri figli.

Paolo Pirani, segretario generale della Uiltec

Eni venderà Versalis a Sk Capital?

Di Paolo Pirani

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