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Da un lato ci sono le strette di mano, buone per i fotografi e per alimentare un’intesa che vede Cina e Russia lavorare alacremente per plasmare un nuovo ordine mondiale che non abbia per baricentro Washington. E poi ci sono i dati economici che dicono che – nonostante i proclami – l’alleanza tra Pechino e Mosca è tutt’altro che solida.

I PROCLAMI SINO RUSSI

Alla vigilia della sua permanenza in Cina per le celebrazioni dei 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il presidente russo Vladimir Putin ha voluto evidenziare ai cronisti la special relationship che regola oggi i rapporti sino russi. E di come – ricorda RT – i due Paesi abbiano rafforzato le loro relazioni dopo anni di disaccordi. Alla base della nuova collaborazione tra i due ingombranti vicini, ci sono un nemico comune, gli Usa, e alcune convenienze economiche.

DIFFERENZE E COMUNANZE

“Scismi nel rapporto sino russo persistono da decenni a causa delle differenze ideologiche e del divario economico – rileva l’International Business Times – ma i due hanno trovato un terreno comune grazie agli scambi per aumentare il commercio”. Offerte di fornitura di gas e accordi sul nucleare “hanno favorito una più stretta cooperazione”, una sorta di “alleanza strategica energetica”, ha sottolineato lo stesso Putin. Una sintonia che si estende anche alla penalizzazione del dollaro sui mercati per far spazio alla divisa cinese, il renminbi, anche “per affrontare potenziali sanzioni economiche degli Stati Uniti, in risposta alle accuse di sicurezza informatica“. E quelle, fin troppo reali, che hanno colpito Mosca, ma che per il Cremlino non hanno impattato sul partenariato russo-cinese, così come, rimarca ancora il Moscow Times, non avrebbe fatto il recente declino economico di Pechino, che nonostante una crescita azzoppata e una bolla finanziaria, rimane ancora il primo partner economico di Mosca. Una vicinanza che si estende anche al versante militare: a maggio, Cina e Russia hanno svolto per la prima volta delle esercitazioni navali congiunte nelle acque del mar Mediterraneo, a poche miglia da Paesi Nato. Un’intesa perfetta, si direbbe. Ma non è tutto oro quello che luccica, almeno se si butta un occhio ai “bilanci”.

SINTONIE DEBOLI

Secondo i dati snocciolati da Bloomberg, “l’interscambio commerciale tra i due Paesi è crollato del 29% nel primo semestre del 2015, assestandosi a 30,6 miliardi di dollari” e costringendo il governo russo ad ammettere l’assoluta impossibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati: 100 miliardi entro la fine dell’anno. Brutte notizie, dunque, per Mosca, che soffre già per la combinazione letale di sanzioni occidentali, mini rublo e prezzo del petrolio in picchiata. Eppure c’è dell’altro.

LE BATTUTE D’ARRESTO

“Anche sul fronte energetico – evidenzia l’Agenzia Nova – si registrano importanti battute d’arresto: durante la visita di Putin a Pechino i Paesi dovrebbero firmare un memorandum d’intesa relativo alla realizzazione di un secondo gasdotto tra i due Stati, ma non è prevista l’assunzione di alcun impegno vincolante in materia di prezzi e tempistiche”. Sulla strategia di riorientamento economico del Cremlino pesa anche la poca efficacia di alcune intese bilaterali con la Repubblica popolare, “come l’accordo di swap valutario da 150 miliardi di yuan raggiunto lo scorso ottobre dalle banche centrali dei due Paesi; lo swap si applica solo ai finanziamenti delle operazioni commerciali a breve termine, e per questo non è riuscito a eliminare il dollaro dall’equazione degli scambi tra Mosca e Pechino”. E anche “la linea di credito da 9 miliardi di yuan” sottoscritta a maggio da Sberbank Ojsc e Vtb Group – mette in luce ancora il quotidiano economico americano – si è rivelata un fallimento, perché la domanda di prestiti in valuta cinese da parte di privati russi è “quasi nulla”. Numeri che Putin e Xinping di guardano bene dal raccontare.

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