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E se i gufi avessero ragione? I gufi, non gli insegnanti che rifiutano di essere “deportati” (pensate un po’) in quel lager chiamato Milano, né i vigili urbani che rifiutano la mobilità… di quartiere, i magistrati che difendono un mese e mezzo di ferie, i sindacati che non vogliono una legge seria sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali come prescrive la Costituzione, insomma tutti coloro i quali minacciano “un Vietnam”. No, questi non sono gufi; ai tempi dei Vietcong tanto evocati sarebbero stati giudicati sabotatori. I gufi (o se volete le nottole di Minerva) sono quelli che disturbano il manovratore perché, pur essendo sulla stessa barca, avvertono quando bisogna cambiar rotta. Ebbene, con la crisi cinese arriva davvero il loro momento.

Intendiamoci, ha ragione Giulio Sapelli, i mercati si stanno comportando ancora una volta in modo irrazionale. La Cina è di fronte a un cambiamento strutturale dalla fabbrica mondiale a una vera potenza mondiale il che comporta di ricentrare il proprio modello passando dalla fase dell’accumulazione primitiva a quella dello sviluppo sostenibile. Ciò richiede tempo e non avviene senza scosse (probabilmente anche politiche), il Gosplan non ha funzionato nel comunismo sovietico figuriamoci del comunismo di mercato dove il mercato si rivela ancora una volta più forte del piano.

Nel breve periodo soffriranno le aziende automobilistiche o dei beni di consumo di massa. E soffrirà l’edilizia cinese sovradimensionata, un esempio clamoroso di speculazione di Stato che meriterebbe inchieste da premio Pulitzer. Ma nel medio periodo si aprono occasioni enormi nei servizi, con un miliardo e mezzo di persone che ha bisogno di pensioni, sanità, banche moderne, ecc.

Un mercato razionale ragionerebbe cosi, riducendo il valore della Volkswagen, ma aumentando quello di Alliianz, tanto per fare un esempio. Purtroppo, masse ingenti di denaro sono in mano a giovanotti ignoranti e senza visione.

Detto ciò, il cambiamento di fase in Cina e nei Paesi emergenti, avrà conseguente rilevanti nei Paesi occidentali, soprattutto in quelli europei che hanno puntato soprattutto sulle esportazioni a scapito di un rapporto più equilibrato tra domanda interna ed estera, a cominciare dalla Germania seguita dall’Italia che meglio della Francia ha difeso il suo export.

Nell’immediato ciò deprime una crescita già modesta là dove è sostenuta soprattutto dalle esportazioni. L’unico modo per reagire è spostare la locomotiva dal binario internazionale a quello domestico, sapendo che, in un mercato aperto, la domanda interna di un paese è domanda estera per il suo partner commerciale. Un compito difficile che si scontra con una sorta di astenia degli investimenti privati e con i limiti alla domanda pubblica posti dalla crisi fiscale degli stati.

In una fase più lunga, occorre puntare non più solo sul manifatturiero, ma sui servizi e qui l’Italia si trova senza dubbio svantaggiata: l’industria italiana, per quanto troppo piccola e frastagliata, ha nel suo insieme un livello di assoluta eccellenza internazionale, il terziario è un disastro, anzi uno scandalo, quello pubblico e quello privato (chi ancora non ci crede pensi all’aeroporto di Fiumicino).

Il nuovo ciclo spiazza il governo Renzi. Lo scorso anno ha scelto la prudenza nella politica fiscale per non violare i limiti di Maastricht e non mettersi contro la Germania. Ha avviato riforme importanti (anche se alcune solo ancora soltanto sulla pista di lancio), ma ha evitato di affrontare la riforma delle riforme: il taglio della spesa pubblica corrente e la riduzione dell’enorme stock di debito accumulato in una fase favorevole dal punto di vista dell’ambiente economico internazionale. Oggi dovrà farlo in una situazione più difficile. Ecco perché i gufi avevano ragione: poca crescita, troppo debito, scarso coraggio nell’affrontare il nodo più ingarbugliato della finanza pubblica italiana.

Rimediare non sarà facile e nessuno ha la ricetta giusta, né le formiche austere né le cicale spendaccione. Forzare i limiti europei è pericoloso perché suscita l’immediata reazione negativa dei mercati finanziari, con tanto di fuga dei capitali (come dimostra la stessa Cina). Invece di negare l’evidenza, di minimizzare o di perdersi in polemiche, Renzi e i suoi fedeli dovrebbero ragionare su come reagire alla nuova situazione. Se sono abili e svelti possono prendere d’anticipo l’opposizione inchiodando i grillini alla loro vociante inconsistenza, la sinistra alle sue nostalgie ideologiche e la destra a distruttivi giochi di ruolo.

 Stefano Cingolani

Ecco come l'Italia e Renzi possono schivare (un po') lo sboom della Cina

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