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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Per capire Atene fino in fondo si deve passare per Riga. Solo così saranno davvero chiare fino in fondo le tante sensibilità e posizioni che oggi esistono all’interno dell’Eurogruppo nei confronti della Grecia. La Lettonia è nell’euro da circa due anni, ma prima di unirsi alla moneta unica ha vissuto cinque anni di crisi economica che ha portato il pil del paese a una contrazione superiore al 20%. Il premier che ha salvato la Lettonia dall’abisso è l’attuale commissario per l’euro e il dialogo sociale, Valdis Dombrovskis, uno apprezzato come pochi dal partito di Angela Merkel e dai circoli tedeschi che contano della Cdu. Dombrovskis è lontano anni luce dal curriculum «leggero» dei politici italiani: laureato in fisica e in ingegneria per due anni ha lavorato a Mainz come ricercatore di laboratorio.

Stessa laurea di Angela Merkel, quindi uno abituato ad affrontare le situazioni sociali elaborando modelli matematici. Fatto sta che la Lettonia, a colpi di riforme e di decisioni non facili, ha compiuto il miracolo portando un paese fallito in paradiso: nell’ultimo biennio il pil lettone è stato il migliore dell’eurozona per crescita annua con un rialzo del 4,2% nel 2013 e del 2,4% nel 2014 mentre nell’anno in corso segnerà un altro +2,3%. Ovviamente Dombrovskis ha potuto fare il miracolo perché è stato aiutato dalla cosiddetta Troika, cioè dal Fmi, dalla Ue e dalla Banca mondiale (non dalla Bce perché la Lettonia all’epoca non era nell’euro) che hanno accompagnato il piano di riforme lettone.

Ed è altrettanto ovvio che oggi non è facile convincere i tanti Dombrovskis che siedono nella Commissione europea o che hanno ruoli attivi nella politica del Vecchio continente che solo la Grecia, paese che aveva deliberatamente falsificato i dati e le statistiche inviate a Eurostat per anni, non sia in grado di fare serie politiche di aggiustamento che consentano al paese di restare nell’euro. Se le riforme sono state possibili a Riga, paese ben più fragile della Grecia, perché non sono realizzabili ad Atene?

Ecco allora spiegato perché il fronte di quelli che si oppongono al «chiagni e fotti» del neo comunista Alexis Tsipras è molto più ampio a Bruxelles di quanto solitamente narrato. Ne fanno parte i due paesi che hanno subito le cure della Troika, Portogallo e Irlanda, e la Spagna di Mariano Rajoy che, attingendo ai soldi europei per salvare le banche, ha dovuto subire le richieste riformiste della Ue.

Ma anche i paesi che hanno fatto enormi sacrifici per aggiustare la loro economia, come la Slovacchia o la Slovenia, per restare nella moneta unica. Il fronte che non vuole fare sconti a Tsipras è molto più ampio della Germania e dei suoi paesi tradizionalmente satelliti, come l’Olanda e l’Austria. Quelli che hanno fatto sacrifici per restare nell’euro sono molto più numerosi dei greci e alla Grecia non faranno sconti.

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