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L’affluenza alle urne nel Veneto è stata la più elevata d’Italia, ma il 9,2% in meno rispetto alle regionali del 2015 e il 6,7% in meno rispetto alle europee del 2014. Ha votato il 57,2 % degli elettori con il restante 42,8% che ha deciso di disertare.

Ha stravinto Luca Zaia, la cui lista è il primo partito del Veneto (23,1%) seguito dalla Lega Nord (17,8%). Il PD è al minimo storico del 16,7% seguito dal M5S (11,9%). Forza Italia in caduta libera al 6% e la lista Tosi al 5,7%, mentre l’alleanza costruita attorno alla sua candidatura giunge all’11,9%, alla pari del M5S che raccoglie qualche centinaio  di voti assoluti in più.

Sintesi estrema del voto: i veneti hanno inteso ridare fiducia al governo del Presidente Zaia il quale, se non avesse subito il diktat di Salvini e accettato l’espulsione di Tosi dalla Lega, avrebbe confermato quel risultato del voto, superiore al 60%, di cinque anni prima.

Noi della costituente civica e popolare che eravamo già stati elettori di Zaia, questa volta abbiamo votato per Flavio Tosi, nella convinzione che attorno alla sua candidatura si potesse far partire il processo di rinnovamento e la formazione di un nuovo soggetto politico alternativo al renzismo e ai populismi di destra e di sinistra.

Molti degli elettori tradizionali del centro-destra da noi interpellati durante la campagna elettorale, ci hanno confermato che, nel timore di un effetto boomerang, avrebbero ridato il proprio voto a Luca Zaia. Prova ne sia che la lista del Presidente supera nei voti la stessa Lega Nord. Insomma, piuttosto di suddividere il voto dei moderati anti renziani, con il rischio di far vincere la pulzella vicentina Moretti, hanno preferito riconfermare la fiducia al governatore uscente. Ora il Veneto è totalmente e senza più alibi e giustificazione alcuna nella responsabilità di governo di Zaia e della Lega

Il PD dovrà curarsi le ferite di una botta tremenda che suona palese sconfessione non solo della candidata prescelta, ma della stessa politica renziana nazionale.

Forza Italia, dopo le nefande vicende del duo Galan-Chisso, difficilmente supererà il trauma e la crisi di leadership nella quale è precipitata. E non sarà il buon risultato di Toti in Liguria, frutto più della divisione interna del PD che della forza alternativa del centro-destra a coprire la crisi di leadership e di consenso elettorale del partito del Cavaliere. Tuttavia rimane intatta la necessità della sua partecipazione all’annunciato nuovo soggetto, specie dopo che Forza Italia con l’aiuto di Area Popolare hanno colpevolmente favorito e sostenuto l’approvazione della sciagurata legge dell’Italicum.

Più complessa la valutazione che dovremo fare noi popolari. Si è raccolto l’11,9 % a livello regionale intorno a Tosi, largamente concentrato nel collegio di Verona (26,7%), con presenze differenti negli altri collegi provinciali: 11,6% a Belluno, 11,6% a Padova, 11,3% a Rovigo, 6,3% a Treviso, 8,2% a Venezia, 8,1% a Vicenza, mentre Area Popolar , nata dalla recente confluenza dell’NCD e dell’UDC resta ferma al palo di un modestissimo 2% regionale con l’alleato “Veneto del Fare” ridotto al misero 1,4%.

Insomma un’assurda frantumazione politica sintomo, se non di una morte politica annunciata, di uno stato di coma irreversibile.

Eppure proprio da quell’11,9% attorno a Tosi si dovrà ripartire, in previsione di lavorare per la ricomposizione dell’area popolare, laica liberale e riformista alternativa al renzismo  che subisce il primo duro colpo nella sua marcia trionfale e ai populismi delle estreme. Anche Salvini dovrà rendersi conto che, pur espandendo la sua presenza anche al Sud, oggi terreno esclusivo del governo del PD (e in Campania siamo curiosi di vedere con quali giochi di prestigio Renzi supererà la forca caudina della legge Severino per l’”impresentabile” De Luca) solo il Veneto resta la sua isola felice.

Premessa indispensabile, specie per quel double face di Alfano che esce distrutto da questa tornata elettorale, è la coerenza delle scelte politiche. Per lui, come per gli amici che ancora mantengono i piedi in due staffe, dentro e fuori del governo, si imporrà la scelta di una decisione non più rinviabile per tentare di recuperare nella linearità dei comportamenti politici, la perduta credibilità verso quel 50% di italiani che non credono più nella politica e non vanno a votare. Questa è la precondizione per qualsiasi progetto di ricostruzione dell’alternativa indicata.

Già qualcosa si muove e mercoledì a Roma, alla Pastor Bonus in Via Aurelia, si riuniranno alcuni esponenti di associazioni, gruppi e movimenti di vario orientamento politico e culturale per lanciare “l’appello agli italiani” al fine di avviare  un nuovo “Grande Progetto” politico partendo senza pregiudiziali e leadership precostituite o annunciate dalle realtà locali e regionali del nostro Paese.

Ettore Bonalberti

www.alefpopolaritaliani.eu

www.insiemeweb.net

www.don-chisciotte.net

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