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Oggi scatta la maxi-IPO su Poste Italiane. Un liberale imperterrito come il vostro chroniqueur che da quindici anni redige il capitolo sulle privatizzazioni per il Rapporto Annuale dell’Associazione Società Libera non può non esserne lieto se non altro perché ripartono dopo quasi un decennio di stasi le privatizzazioni.

Tuttavia ieri mi è giunto un mail (in inglese è neutro; quindi scrivere la o una mail è errore di grammatica) di un amico italiano che da venticinque anni vive tra Washington e Roma ed ha una figlia sposata a San Francisco. Mi raccontava che negli Usa (dove il Post Office è considerato un “monopolio” in quanto bene pubblico e riceve una sovvenzione annua per fare fronte al declino degli incassi da quanto il mail ha soppiantato le lettere su carta profumata), dopo un’assenza di un mese, gli viene recapitato a casa, nella capitale Usa,  un pacco con tutta la posta accumulatesi.

A San Francisco, se lo si chiede, il Post Office, ti fa pure la spesa. Poche sere fa in televisione, ho rivisto il magnifico Mr.Smith va a Washington (un insegnante catapultato in politica) di Frank Capra con quel sorprendente finale: mentre il protagonista sta quasi per essere messo sotto inchiesta, un gruppo di postini e boy scout irrompono nelle aule del Congresso portando, all’inno il Post Office ed gli Scout non si sbagliano mai, le prove documentarie su parlamentari corrotti (da lui denunciati) nei confronti dei quali viene immediatamente sospesa l’immunità.

Quindi, la privatizzazione – si spera – porterà cassa di cui si ha maledettamente bisogno per far quadrare i conti e se possibile abbassare (un tantinello) l’Himalaya del debito pubblico ma non è necessariamente lo strumento per rendere più efficienti i servizi postali. In una fase di declino della domanda e di difficoltà di ridurre i costi (in tutto il mondo il personale dei servizi postali è pletorico e molto sindacalizzato), non basta privatizzare, soprattutto se non c’è un serio unbundling tra servizi postali “tradizionali” ed altri, a più alto valore aggiunto, che possono essere offerti nei locali di un ufficio postale. In materia di miglioramento, c’è molto da fare: siamo tra gli ultimi ed i penultimi negli indicatori compilati annualmente dal Consumer Postal Council, l’unione internazionale degli utenti dei servizi postali.

Occorre, però, ammettere che la liberalizzazione e la privatizzazione dei servizi postali è vista in molti Paesi come il rischio di un declino della qualità nelle aree a più basso reddito. In numerosi Paesi, tuttavia, la liberalizzazione e la privatizzazione (totale o parziale) delle poste sono state accompagnate da riforme profonde nella corporate governance, nella introduzione di prassi moderne di gestione nelle relazioni industriali, nella gestione finanziaria, nel marketing e negli investimenti. Esiste ormai una ricca letteratura sull’argomento.

Ad esempio, in Germania (dove investitori privati detengono il 69% del capitale), la Deutsche Post, notoria come inefficiente carrozzone, è diventata una gemma di efficienza. Anche le poste olandesi, totalmente privatizzate, funzionano bene, Si potrebbe continuare. In tutti questi casi, strumenti analoghi ai “contratti di servizio” assicurano che le aree più povere ricevano un adeguato servizio.

In questi ed altri esempi, val la pena precisare, che la privatizzazione è stata preceduta dall’abolizione del monopolio postale e dalla concorrenza. In Italia, a partire dal 1º gennaio 2006 il monopolio di Poste Italiane è ridotto agli invii con peso inferiore a 50 grammi, che rappresentano tuttavia ancora la maggioranza della corrispondenza epistolare. In realtà anche altre aziende possono trasportare posta di peso inferiore a 50 grammi, ma devono applicare un prezzo almeno 2 volte e mezzo superiore a quello di Poste Italiane. Ciononostante è nata una serie di aziende che si definiscono poste private, anche se nessuna di queste possiede per ora una rete infrastrutturale in grado di competere con Poste Italiane.

Analisi recenti concludono che se la corporate governance e il management sono all’altezza (ed effettuano i cambiamenti necessari) la qualità del servizio (misurata in termini di tempo dall’invio ed il recapito) è migliorata e ne hanno usufruito anche i territori svantaggiati. Come si è accennato un esempio è Deutsche Post, rivoltata come un calzino da manager provenienti da altri settori: ha cambiato il metodo di compensi per i suoi dipendenti, modernizzato tanto il settore lettere quanto quello pacchi, ha sviluppato nuovi prodotti come il mail ibrido e l’e-commerce.

Quindi, si può sperare in servizi migliori.

Poste Italiane, cosa succede con la privatizzazione parziale?

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