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“La crescita si sta rafforzando annuncia. La politica monetaria europea si sta facendo strada nell’economia”. Ma intanto, proprio a seguito delle lunga crisi, il potenziale di crescita dell’area è ormai finito sotto l’1 per cento. Concretamente significa che si rischia una disoccupazione strutturale stabilmente sopra il 10 per cento. E per i giovani anche peggio. La crescita a rilento rende anche più difficile ridurre i debiti pubblici. Da quando è Presidente della Bce Draghi ripete incessantemente gli appelli ad accelerare sulle riforme, che sicuramente hanno effetti positivi già sul breve termine, posto che vengano “scelte attentamente”.

Ma ecco, se si vogliono massimizzare i benefici di una riforma bisogna fare leva su orari e salari, piuttosto che sui licenziamenti. E durante la crisi, in vari Paesi, come la Germania si è visto che le imprese che potevano avvalersi di contratti decentralizzati hanno ridotto l’occupazione meno di quelle vincolate ai contratti nazionali. E la povera, depressa Europa, grazie anche all’aiuto del nostro banchiere centrale (i prestiti auto sono destinati a far la parte del leone negli Asset-backed securities acquistati dalla Banca centrale), cercano di recuperare soprattutto nel settore automobilistico delle vendite e grazie al traino del favoloso Marchionne anche l’Italia con un 10,9%.

Nel Regno Unito, il paese che più produce (dopo la Germania) e più esporta, tre auto su quattro sono vendute assieme a un pacchetto di agevolazioni finanziarie. Il Portogallo o la Spagna, spinta dagli incentivi, ha vissuto un vero e proprio boom (più 25,8 per cento rispetto a dodici mesi fa). I datti dall’Istat confermano la tendenza: nell’intero 2014 il fatturato dell’industria è aumentato rispetto al 2013 e l’incremento tendenziale più rilevante si registra nella fabbricazione di mezzi di trasporto (più 13,2 per cento), veicoli inclusi.

Nessun settore conta più dell’auto per misurare gli umori dell’economia. Un po’ perché ogni tuta blu in fabbrica (dove oggi, per la verità, si incontrano ormai più camici bianchi e computer che cacciavite a stella) porta con sé 6-7 posti di lavoro, dal marketing all’indotto fino alla pubblicità o all’assistenza. Le quattro ruote misurano comunque la febbre in un paese. I Big del settore sono pronti alla sfida con i nuovi padroni dell’economia in arrivo dalla new economy. E la Wolkswaghen sul versante delle riforme del lavoro e del welfare in Germania e ora Marchionne anche in Italia può dare impulso ai contratti aziendali come fece con Fiat nel 2010.

Il settore è alla vigilia di un nuovo round di integrazioni, da cui emergeranno nuovi colossi, forti delle competenze, dei denari e del peso politico necessario per vincere una battaglia fatta per i giganti, che provengano dalla vecchia o dalla nuova economia. Bene noi non possiamo rimanere indietro posto che la creatività, il talento non ci mancano, ma bisogna andare oltre la legislazione attuale che è lenta nella sua realizzazione. Le quattro ruote italiane hanno bisogno di maggior contrattazione aziendale per stare al passo e non perdere il treno che è già in moto.

Anche sottoscrivendo contratti con Reti d’impresa, per rispondere alla necessità di un maggior dimensionamento delle imprese metalmeccaniche. Per una forma di contratto che esula da quelli tradizionalmente utilizzati, più snello e meno impegnativo per gli imprenditori.

Il contratto di rete rappresenta una libera aggregazione tra imprese, anche di diversi comparti di settore (accessori, pelletteria,ecc) che permette di perseguire obiettivi strategici di innovazione e competitività, senza dover procedere a fusioni o incorporazioni. Si impone l’introduzione di elementi di discontinuità e novità anche in attività e settori produttivi che non appartengono a forme di capitalismo mobile, in grado di dettare l’agenda e le priorità delle relazioni industriali quale unica alternativa alla delocalizzazione, quando non alla cessazione di attività dei siti produttivi.

E’ necessario superare la crisi dei sistemi di organizzazione e gestione del lavoro in atto, rispetto ad un mercato competitivo. Infatti, i temi della organizzazione aziendale e dunque del recupero della produttività attraverso l’introduzione di nuove forme di organizzazione del lavoro flessibili , economicamente e fiscalmente incentivate anche dai risultati, garantisce anche la salvaguardia impianti e esigibilità degli accordi per liberare energie lavorative ed essere così competitivi sia sul mercato interno che estero.

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