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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Antonino D’Anna apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Il Vaticano riconosce la Palestina, ma in Curia è già maretta e Israele potrebbe complicare ulteriormente i rapporti diplomatici con Roma. Per il momento Tel Aviv vuole vederci chiaro: ma è ovvio che 16 anni di relazioni diplomatiche definite «glaciali» dal Jerusalem Post tre giorni fa, potrebbero peggiorare.

La scelta fatta dalla Santa Sede di riconoscere l’esistenza dello Stato di Palestina nell’ambito dell’accordo che disciplina gli aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa cattolica in Palestina, ha già ricevuto il disappunto ufficiale del governo israeliano.

E una fonte del ministero degli Esteri israeliano, sempre citata dal Post, dice che «l’accordo Vaticano-Palestina non spinge avanti il processo di pace e allontana ulteriormente la leadership palestinese dal ritorno a relazioni bilaterali dirette» con Tel Aviv. Quindi l’attesa: Israele vuole studiare a fondo il trattato firmato dalla Santa Sede con la Palestina e quindi si regolerà «di conseguenza».

Se questo è quello che accade in Medio Oriente, non si può dire che Oltretevere la situazione sia migliore. Secondo quanto ItaliaOggi può riferire, in Curia sono in tanti a ritenere questa scelta una decisione che manda a monte la lunga tradizione e il lungo atteggiamento diplomatico della Santa Sede in merito alla questione mediorientale.

Il Vaticano, infatti, fino ad oggi non aveva mai preso parte per uno dei due contendenti, mirando piuttosto a sottolinare come – per usare le parole di un cablo di Wikileaks del 26 giugno 2009: «la soluzione a due Stati sia la chiave della pace». Ma, si ricorda a Roma, un conto è auspicare o dirsi a favore dei due Stati: e un altro riconoscere la Palestina. Si ha insomma la sensazione, nei Sacri Palazzi, che questa decisione sia stata più politica che diplomatica o pastorale e che abbia quindi esposto la Santa Sede ad eventuali difficoltà con Israele.

E infatti: ad oggi non è stato firmato un accordo tra Tel Aviv e il Vaticano sullo status della Chiesa cattolica in Israele; il tema della sovranità su 21 luoghi presenti sul territorio israeliani; problemi in merito la tassazione e l’espropriazione dei beni della Chiesa. Come se non bastasse, un punto di frizione è da molto tempo la questione del processo di beatificazione di Papa Pio XII, che regnò dal 1939 al 1958. La critica mossa da Israele è che Pio XII non avrebbe fatto il possibile per denunciare e condannare apertamente l’Olocausto nazista (è anche vero, però, che la figura di Pio XII è stata ampiamente discussa e in alcuni casi anche calunniata negli anni dopo la sua morte).

È dal 1999 che Vaticano e Israele negoziano sull’implementazione dell’Accordo Fondamentale firmato tra le due parti nel 1993. Roma mira all’esenzione fiscale della Chiesa in Terrasanta, la restituzione di alcuni siti alla Custodia di Terrasanta (i francescani del Medio Oriente che accolgono i pellegrini cattolici e vigilano su 74 santuari tra Israele, Egitto, Palestina, Siria, Giordania, Libano, Cipro, Rodi) ed al Patriarcato di Gerusalemme e infine all’accordo sulle regole per proteggere i siti cattolici, specie nei Luoghi Santi.

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