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In preparazione del prossimo vertice Nato di Washington, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha incontrato a Roma la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un confronto di circa un’ora. Il bilaterale, che non ha previsto un momento con la stampa, si è concentrato in particolare sul prossimo summit alleato di luglio per il 75esimo anniversario del Patto e sull’aspettativa italiana che nella capitale statunitense possano essere adottate decisioni concrete in risposta alle sfide caratterizzanti il fianco Sud, in coerenza con l’approccio a 360 gradi alla sicurezza euroatlantica previsto dal Concetto strategico della Nato, come spiegato in una nota rilasciata da Palazzo Chigi.

Ma al di là dei temi del prossimo summit, al centro delle relazioni tra il nostro Paese e la Nato rimane il nodo della quota di budget da destinare alle spese per la Difesa. Come certificato anche di recente dai dati rilasciati dallo Stockholm international peace research institute (Sipri), il think tank svedese che monitora lo stato delle spese militari a livello globale, mentre tutto il Vecchio continente ha visto crescere i propri fondi della difesa, raggiungendo per la prima volta il 28% del contributo complessivo alleato (la percentuale più alta da un decennio a questa parte), l’Italia è invece rimasta indietro. Ulteriori undici Paesi Nato hanno raggiunto, inoltre, la soglia del 2%, il numero più alto da quando i capi di Stato e di governo stabilirono quest’obiettivo al vertice del Galles nel 2014. In questo quadro, solo tre Paesi Nato hanno contratto le proprie spese: Grecia, Romania e Italia (che ha ridotto del 5,9% il suo budget). Tuttavia, Atene e Bucarest superano o raggiungono l’obiettivo (stando rispettivamente al 3,7% e all’1,99%), mentre l’Italia è scesa all’1,45% dopo che nel 2022 aveva raggiunto l’1,51% e l’1,59% nel 2020.

A febbraio era stato proprio Stoltenberg a dire che si aspettava da parte dei diciotto Paesi che ancora non avevano raggiunto il target deciso in Galles l’ottenimento dell’obiettivo entro il 2024. “Gli alleati europei stanno spendendo di più, stiamo facendo molti progressi”, ha detto. “Ma alcuni alleati devono fare di più, a Vilnius abbiamo deciso che il 2% deve essere il minimo per tutti”. L’uscita di Stoltenberg è significativa non solo per lo sprone imposto ai Paesi ritardatari, ma soprattutto per il linguaggio utilizzato: il 2% è considerato, infatti, il “minimo” che gli Alleati devono spendere in difesa, e non un tetto da raggiungere per fermarsi.

Le affermazioni di Stoltenberg non hanno fatto che confermare l’allarme lanciato fin dall’anno scorso dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, che in più occasioni aveva ricordato come l’obiettivo fissato in Galles non poteva più essere considerato come un traguardo, e che ben presto sarebbe stato superato, diventando semplicemente la base di partenza che tutti i Paesi Nato devono investire per la propria difesa. Un allarme reiterato dallo stesso ministro a fine aprile: “Chi non arriverà al 2% del Pil per la spesa per la difesa diventerà una nazione non di serie B, ma addirittura che non potrà sedersi ai tavoli internazionali; nessuno passerà più sopra questa cosa e diventerà una parte fondamentale per avere credibilità nel mondo”. Nonostante questi ripetuti inviti, tuttavia, il trend non sembra essere in procinto di essere invertito, e rebus sic stantibus l’obiettivo sarà impossibile nel 2024 e difficile anche per il 2028.

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