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Bettina Stark-Watzinger, ministra tedesca della Ricerca, ha invitato le università della Germania rivedere le loro collaborazioni con la Cina e ha annunciato che il sostegno sarà dato solo a progetti “che abbiano un chiaro valore aggiunto per la Germania e l’Europa”.

L’ultimo caso di spionaggio

Le sue parole al settimanale economico Wirtschaftswoche seguono l’arresto di tre soggetti che avrebbero fornito informazioni su tecnologie dual-use ai servizi segreti cinesi, trovandosi in contatto con diverse università tedesche. Con una di esse, l’Università di tecnologia di Chemnitz, avevano anche siglato un contratto commissionando uno studio sul tema dei cuscinetti a strisciamento.

Le parole della ministra

In Germania, la libertà accademica è tutelata dalla Costituzione, ma ciò comporta anche una responsabilità per le università e gli istituti di ricerca, ha dichiarato la ministra. Ha annunciato anche il rafforzamento dell’attività di informazione e sensibilizzazione nelle università e negli istituti di ricerca e un maggior sostegno alle ricerche indipendenti sulla Cina.

I timori dell’intelligence

Anche il Bundesamt für Verfassungsschutz, il servizio tedesco di controspionaggio, ritiene che sia urgente intervenire. “Le università tedesche spesso non hanno una sensibilità sufficiente per poter valutare correttamente i pericoli dello spionaggio e l’elevato rischio di perdere competenze, nonché le misure di protezione adeguate”, ha scritto l’agenzia nella sua rivista interna 2023. Sinan Selen, numero due del servizio, ha recentemente annunciato una maggiore attenzione alle attività cinesi che coinvolgono spin-off di università e start-up. La Cina vuole utilizzare la cooperazione di ricerca nel settore civile-militare per ottenere tecnologie che possano essere utilizzate anche per scopi militari, ha dichiarato.

Le mosse degli altri

Nel Regno Unito il governo sta valutando nuove misure per garantire la sicurezza della ricerca. Chi si è già mosso in questa direzione è il Canada: da inizio anno le domande di finanziamento della ricerca non saranno più approvate se riguardano un’area di ricerca sensibile e se uno dei ricercatori candidati è associato a un’istituzione classificata come “non sicura”. L’Unione europea sembra muoversi in direzione simile. Potrebbe sviluppare uno strumento di due diligence basato sul China Defense Universities Tracker, creato dall’Australian Strategic Policy Institute, e istituire un centro europeo di competenza sulla sicurezza della ricerca.

E in Italia?

Anche l’intelligence italiana è impegnata sul tema, svolgendo la sua attività informativa per fornire gli strumenti necessari alla politica, che potrebbe alla fine decidere di aspettare le mosse della Commissione europea per evitare di esporsi. Come aveva spiegato a fine febbraio, alla presentazione della Relazione annuale 2023 sulla politica dell’informazione per la sicurezza, il prefetto Mario Parente, allora direttore dell’Aisi, la Cina ha “finalità di acquisire un patrimonio informativo e li porta a rivolgersi anche a circuiti universitari”. “Le università possono essere infiltrate, anche attraverso finanziamenti più o meno mediati”, aveva detto ancora assicurando che da parte dell’intelligence c’è “un’attenzione molto forte”.

I numeri

Ecco, dunque, qualche numero sul contesto italiano: ci sono 16 Istituti Confucio ma “manca un dibattito sulla loro presenza o sui rischi che potrebbero comportare”, ha evidenziato recentemente il centro studi tedesco Merics; non ci sono linee guida “per le università su come gestire le partnership con le università cinesi”, hanno aggiunto gli stessi esperti; secondo un altro recente rapporto del Merics, tra il 2013 e il 2022 le co-pubblicazioni tra la Cina e l’Italia sono aumentate del 258 per cento; secondo la società di consulenza Datenna, il nostro Paese è tra quelli con il maggior numero di collaborazioni con i “Sette figli della difesa nazionale”, ovvero le altrettante università finanziate dal governo cinese per contribuire allo sviluppo delle forze armate.

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