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Il rapporto del Senato americano sulle torture inferte dalla CIA a detenuti da cui ottenere informazioni rilevanti per sventare attentati terroristici mi sembra una questione epocale. Non è una mera questione giuridica, va molto al di là di questo. Quel rapporto pone l’Occidente di fronte a se stesso e lo interroga. Vale ancora la pena difendersi? Se sì (come più o meno diranno tutti) a quale prezzo? Fino a che punto è legittimo spingersi? Ma questa domanda non può riguardare soltanto l’Occidente inteso come l’insieme degli Stati e dei governi che ne fanno parte.

Deve riguardare ogni singolo cittadino occidentale. Cosa sono disposto ad accettare per difendermi? Questa è la vera domanda da porsi che subito ne richiama un’altra: c’è ancora qualcosa per cui valga concretamente la pena battersi? I valori che hanno fatto grande l’Occidente e che si possono riassumere essenzialmente in un unico grande valore cioè il rispetto della libertà degli altri: libertà di confessione, di pensiero, di impresa, di azione in senso ampio. Quegli stessi valori che ci spingono a domandarci, adesso, se le tecniche di quegli interrogatori fossero legittime oppure no.

Lasciatemi subito dire che se i nostri valori non fossero difesi verrebbe meno persino la possibilità di interrogarsi sulla legittimità di quelle azioni. La domanda che ci poniamo non esisterebbe neppure. In ogni caso, ciascuno di noi dovrebbe rispondere personalmente e indipendentemente a questa domanda perché ci riguarda tutti: cosa sono disposto ad accettare per difendermi? Una risposta legittima, e in realtà quella che danno in molti forse senza capire le sue reali conseguenze, è dire che il rispetto degli altri è sempre assoluto e intoccabile.

Ma la conseguenza ultima di questa posizione, e allo stesso tempo il suo radicale paradosso, è che questa forma di rispetto degli altri è quella che porta fino alla potenziale distruzione di sé: se ritengo che sia sbagliato combattere con ogni mezzo una persona che vuole uccidermi allora sono pronto ad accettare la mia morte come risultato delle sue azioni. Senza la sua difesa, la libertà, semplicemente, non potrebbe esistere e, talvolta, le cose che bisogna fare per difenderla sono in contraddizione con tutti gli altri valori. A me sembra che dietro questa attenzione smodata per il diritto si celi una certa fiacchezza morale, una incapacità di sentirsi responsabili, anche individualmente, per degli atti brutali ma talvolta necessari, come possono essere certe forme di interrogatorio, per salvaguardare le nostre libertà, il nostro diritto a vivere, il nostro diritto a preservare i valori che hanno reso, bene o male, l’Occidente un faro per il mondo intero.

Un esempio di tolleranza e rispetto degli altri. Esistono zone grigie dinanzi a cui il diritto, necessariamente, si ferma. La coerenza assoluta verso i nostri valori, il rispetto di questi valori, può arrivare al punto di lasciarsi attaccare pur di rispettarli? Filosoficamente la risposta è sì, un sistema di valori deve essere coerente rispetto a se stesso e quindi, nel momento in cui compisse un’eccezione così significativa come quella di interrogatori-tortura, automaticamente smetterebbe di esistere. Ma la vita quotidiana non è un sistema filosofico, esiste il senso comune e la capacità di guardarsi intorno e capire di volta in volta quale sia la scelta più sensata. Quale sia la scelta che, sebbene in contraddizione con ciò che si propone di garantire, possa preservare tutti quei valori che, in certi momenti, possono continuare a essere rispettati e salvaguardati soltanto tradendoli. E qui si ritorna alla domanda iniziale: cosa sono disposto ad accettare per difendermi?

Ecco come l'Occidente riscrive il confine tra sicurezza e libertà

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