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La crisi tra Israele e Iran ha fatto irruzione nella campagna elettorale per le prossime elezioni presidenziali americane. Donald Trump ha criticato Joe Biden a seguito dell’attacco condotto da Teheran contro lo Stato ebraico sabato scorso. “Israele è sotto attacco! Questo non sarebbe mai dovuto succedere, questo non sarebbe mai successo se fossi stato presidente!”, ha dichiarato il candidato repubblicano sul suo social Truth.

Non è d’altronde la prima volta che Trump attacca Biden su questo punto. Secondo i repubblicani, l’attuale presidente americano sarebbe stato troppo tenero con Teheran. Una volta entrato in carica nel 2021, Biden tolse gli Houthi dalla lista delle organizzazioni terroristiche e avviò dei colloqui indiretti per cercare di ripristinare il controverso accordo sul nucleare con l’Iran che, firmato da Barack Obama nel 2015, era stato abbandonato da Trump tre anni più tardi. Inoltre, l’attuale presidente ha approvato varie deroghe alle sanzioni contro l’Iran, sbloccando anche cospicui asset di Teheran precedentemente congelati. Al contrario, l’amministrazione Trump aveva adottato la politica della “massima pressione” sul regime khomeinista: un elemento su cui aveva fatto leva per avvicinare Israele ai Paesi arabi in quella che fu la logica degli Accordi di Abramo, siglati nel 2020.

Biden ha invece voluto tentare di tenere insieme una distensione con Teheran e il tentativo di mediare la normalizzazione dei rapporti tra lo Stato ebraico e l’Arabia Saudita. Il punto è che, così facendo, ha irritato Riad e Gerusalemme, mentre l’Iran, negli ultimi tre anni, ha continuato ad avvicinarsi all’asse sino-russo: nel 2021, ha firmato un accordo di cooperazione venticinquennale con Pechino, mentre l’anno dopo ha sottoscritto un’intesa energetica dal valore di 40 miliardi di dollari con Gazprom. Tutto questo, mentre il regime khomeinista ha rafforzato il proprio network regionale, dagli Huothi a Hezbollah, passando per Hamas.

È in questo quadro che vanno inseriti gli attacchi di Trump e di molti repubblicani a Biden. E il presidente deve ora barcamenarsi in una situazione complicata. Ha offerto sostegno “incrollabile” alla difesa di Israele ma, dall’altra parte, ha dissuaso Benjamin Netanyahu dall’avviare una ritorsione immediata all’attacco di Teheran. Ha fatto sapere, tramite il suo consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan, che Washington imporrà nuove sanzioni all’Iran, ma non sembra minimamente intenzionato a ripristinare la linea della “massima pressione”.

Se tale approccio cauto lo espone agli strali del GOP, questo non è comunque l’unico fronte che Biden deve gestire. La crisi tra Israele e Iran si interseca inevitabilmente con quella di Gaza, anche perché Teheran è storicamente uno dei principali finanziatori di Hamas. Tuttavia, come noto, parte dell’ala sinistra del Partito Democratico americano è su posizioni filo-palestinesi e ha minacciato di boicottare la ricandidatura di Biden, considerando quest’ultimo come troppo vicino a Israele. Si tratta di un campanello d’allarme rilevante per il presidente, che paventa defezioni a sinistra in alcuni Stati chiave per le elezioni di novembre: soprattutto Michigan, Wisconsin e Minnesota. Probabilmente l’inquilino della Casa Bianca teme altresì che una eventuale (e assai probabile) controreazione israeliana all’attacco iraniano possa irritare ulteriormente la sinistra del suo partito. Senza trascurare che Biden ha anche un altro problema: quello di eventuali nuovi attacchi dei proxy di Teheran contro le truppe statunitensi stanziate in Medio Oriente. Si tratta di una questione delicata nel pieno del periodo elettorale.

A settembre dell’anno scorso, varie fonti avevano riportato che l’inquilino della Casa Bianca fosse vicino a mediare con successo la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita: se ci fosse riuscito, il presidente avrebbe avuto un sostanziale risultato di politica estera da utilizzare in campagna elettorale. Tuttavia, il brutale attacco perpetrato da Hamas il 7 ottobre ha portato al congelamento di quella normalizzazione. E, nonostante la Casa Bianca stia provando a rimetterlo in piedi, il processo – almeno per ora – sembra essersi in gran parte arenato. Dall’altra parte, le critiche di Trump alla politica iraniana di Biden non vanno lette tanto come rivolte all’elettorato americano. Sono semmai maggiormente un segnale a Israele e ai sauditi. Vale a tal proposito la pena di sottolineare che, soprattutto dopo l’attacco di sabato scorso, sembrano emerse alcune crepe nei rapporti tra i Paesi arabi e gli iraniani. Crepe che, qualora si allargassero, Trump cercherebbe di sfruttare, se dovesse tornare alla Casa Bianca.

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A settembre dell’anno scorso, varie fonti avevano riportato che l’inquilino della Casa Bianca fosse vicino a mediare con successo la normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita: se ci fosse riuscito, il presidente avrebbe avuto un sostanziale risultato di politica estera da utilizzare in campagna elettorale. Tuttavia, il brutale attacco perpetrato da Hamas il 7 ottobre ha cambiato molte cose e ora la crisi mediorientale si affaccia su Usa2024

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