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L’Italia è il secondo paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, per numero di bambini adottati negli ultimi 12 anni, da quando cioè è entrato il vigore il Trattato dell’Aja che regola le adozioni internazionali di bambini abbandonati.

Prima del 2001 la procedura d’adozione era auto-gestita dalle famiglie, con forte rischio di cadere nel traffico di minore e di costose fregature. Dal 2001 la Commissione per le Adozioni Internazionali presso la Presidenza del Consiglio vigila sulle adozioni svolte dalle famiglie italiane all’estero e sottoscrive gli accordi con i Paesi esteri.

Molti ricordano l’arrivo festoso nel 2014 del Ministro Boschi a Fiumicino con i bambini adottati nel 2013 da famiglie italiane in Congo, le cui procedure erano state bloccate, ma pochi sanno che il Congo non brilla per trasparenza di queste procedure e che molti altri bambini rimarranno lì senza speranza. Nel 2013 sono diventati cittadini italiani 2825 minori, provenienti prevalentemente dalla Russia (26%) e dall’Etiopia (11%), seguiti dai paesi dell’est Europa e del Sud America.

Le coppie italiane concludono l’iter adottivo dopo un certo numero di anni (almeno 4) e, sempre più frequentemente, accettano bambini di età scolare e con dei bisogni segnalati, speciali o particolari, in aperto contrasto con il paradigma tradizionale della letteratura economica basata sulla lunga esperienza statunitense, caratterizzata da una ridotta presenza di casi speciali e da una forte preferenza per bambini di età pre-scolare. Il segnale che viene dalle statiche sulle adozioni è che le scelte dei genitori adottivi italiani non sono coerenti con la teoria.

La famiglia adottiva italiana tipo è benestante, ha un titolo di studio elevato, ha oltre 45 anni e risiede nelle Regioni più ricche. E’ evidente che la componente economica gioca un ruolo nella scelta dell’adozione, ma finora a questo è stata data scarsissima attenzione.

Il tema delle adozioni internazionali di minori coinvolge molteplici sfere, alcune molto delicate; quella affettiva, sociale, culturale, relazionale e anche quella economica, ma su quest’ultimo punto non vi sono studi autorevoli, né posizioni governative di sorta.

Obiettivo della ricerca, promossa dall’Università degli Studi della Tuscia, è di capire quali fattori contribuiscono a determinare le scelte delle famiglie adottive italiane, scelte che paiono essere irrazionali in senso economico, per giungere a proposte fattive di miglioramento e non per contribuire allo sterile chiacchiericcio natalizio. Le informazioni limitate, la ridotta trasparenza, l’eccessiva lunghezza del processo, l’aumento dei costi della procedura di adozione contribuiscono a produrre un forte squilibrio nel sistema e infatti le adozioni italiane sono crollate dal 2011 al 2013 di oltre il 20%.

L’indagine è rivolta alle famiglie che hanno realizzato un’adozione internazionale di uno o più bambini dopo il 2001 ed è finalizzata a studiare l’esperienza delle famiglie italiane da un punto di vista economico.

Il responsabile della ricerca è la prof.ssa Chiara Oldani del dipartimento di Economia e Impresa (coldani@unitus.it, twitter @chiaraoldani). I dati raccolti sono anonimi; la ricerca non è finanziata dagli enti per le adozioni internazionali, né dalla Commissione per le Adozioni Internazionali, né dai servizi sociali.

Per prendere parte alla ricerca basta rispondere ad un breve questionario cliccando qui.

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