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I malinconici numeri su Pil e dintorni nascondono una sfida all’Europa che oscilla tra un azzardo politico e scommessa rischiosa. Speriamo di cavarcela.

I NUMERI DEL NUOVO DEF

I numerini contenuti nelle previsioni aggiornate su crescita e conti pubblici del Documento di economia e finanziaria sono questi.

L’Italia chiuderà anche il 2014 in recessione. Il governo, come previsto, abbassa le stime di aprile e con la nota di aggiornamento del documento di Economia e Finanza (Def) indica che il Pil chiuderà quest’anno a -0,3% (e l’Istat prevede intanto che anche il terzo trimestre avrà il segno meno) per tornare a crescere, allo 0,6% nel 2015. Pienamente rispettato però, sottolinea il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al termine del Cdm di ieri sera che ha approvato la nota, il “fondamentale vincolo” del 3%. Vincolo non rispettato, invece, dalla Francia, come annunciato oggi da Parigi, che lancia di fatto una sfida aperta ad Angela Merkel e Jean-Claude Juncker.

PAREGGIO RINVIATO

Il rapporto deficit/Pil italiano si attesterà infatti quest’anno precisamente sul filo di questa soglia (al 3%) per calare leggermente al 2,9% il prossimo anno. Il governo, con le leggi attualmente in vigore, stima il rapporto al 2,2% ma fissa il deficit programmatico al 2,9%. Questo darebbe così margini di iniziativa per stimolare l’economia per il prossimo anno. “Nessuna manovra aggiuntiva” per il 2014, assicura nuovamente il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio. Ma visto “il quadro macroecnomico deteriorato” è “lecito” però, spiega Padoan, invocare le “circostanze eccezionali” già previste dalle regole Ue per “rallentare” l’aggiustamento strutturale di bilancio e rinviare “al 2017” il raggiungimento del pareggio di bilancio previsto dal Fiscal Compact.

STRATEGIA NON CONCORDATA

Ma dietro le cifre si nasconde una strategia non concordata con Bruxelles. Spostando ulteriormente al 2017 l’anno del raggiungimento del pareggio di bilancio, si straccia di fatto un bel pezzo di Fiscal Compact e si fa marameo a Bruxelles e a Berlino. D’altronde, con Pil moscio, consumi calanti e disoccupazione crescente, come ci si può permettere nel perseguire la mortifera austerità?, è ragionamento non esplicitato dell’esecutivo.

GLI OBIETTIVI DEL GOVERNO

In cambio di questo allentamento, il governo Renzi ha intenzione di mettere sul piatto della Commissione europea, e di fatto anche della Bce, la sequela di riforme annunciate, abbozzate o in corso e – in primis – quella del lavoro, con il disegno di legge delega denominato Jobs Act. Ovvero: Renzi con la rottamazione parziale dell’articolo 18 (che resta per i licenziamenti discriminatori e disciplinari) vuole dimostrare all’Europa la serietà e la bontà del percorso riformatore visto che a Francoforte e Bruxelles si sono appassionati, ossia fissati, sulla riforma del mercato del lavoro. Peccato che dopo la scoppiettante direzione del Pd, e del documento finale votato, come avevamo notato ieri, c’è qualcuno come l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi (Ncd) che non comprende bene le rilevanti novità, anzi mettere in guardia sull’incertezza relativa ai licenziamenti economici per i quali si lascia l’alternativa tra reintegra del posto di lavoro e indennizzo monetario.

IL RE E’ NUDO

Ciò detto, attestare che il pareggio di bilancio si sposta al 2017, dunque annunciando implicitamente che le regole e la tempistica degli obiettivi legati al Fiscal Compact possono attendere, significa dichiarare implicitamente che il re è nudo.

SCOMMESSA O AZZARDO?

Si fa strada dunque la consapevolezza che la teutonica austerità può e deve essere rottamata. Ora resta da capire se ci si limita solo al beau geste o si lavora davvero per rottamare il Fiscal Compact in maniera concertata in Europa. Altrimenti il rischio è che la scommessa di Renzi e Padoan sia solo l’anticamera della Troika.

Renzi fa marameo a Merkel e Juncker

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