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Tutto bene quello che finisce bene sull’articolo 18? Cerchiamo di capirne di più.

Con il comma 7 lettera c della legge delega, riscritto da un emendamento del governo che interviene sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, si stabilisce il no al reintegro per i licenziamenti economici e il sì al reintegro per quelli disciplinari. Ma solo “per alcune fattispecie ingiustificate”. Quali siano queste fattispecie? E’ il punto su cui si accapigliano politici, sindacalisti e addetti ai lavori.

IL DISEGNO DI LEGGE

La formulazione è vaga, perché il Jobs act è un disegno di legge delega e quindi fissa solo i principi generali. Per questo l’emendamento del governo approvato ieri può essere sbandierato come una vittoria sia dalla sinistra del Pd sia dal Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano. Ma, anche se non ci sono sorprese, il testo arrivato ieri nella commissione Lavoro di Montecitorio cambia radicalmente le regole sui licenziamenti per le nuove assunzioni, nota il Corriere della Sera.

CHE COSA CAMBIA

Il reintegro nel posto di lavoro resta per i licenziamenti nulli e discriminatori, cioè quelli basati sul credo politico o religioso. Viene cancellato per i licenziamenti economici, legati ossia a crisi aziendali, per i quali ci sarà solo un “indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio”. Mentre resta per “specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”.

LE SPECIFICHE

Ma quali sono questi casi concreti? Saranno indicati nel primo decreto attuativo del Jobs Act, quello sul contratto unico a tutele crescenti che il governo vuole emanare il giorno stesso dell’entrata in vigore della delega.

LA SINISTRA PD ESULTA

Per il Pd, a partire dall’ala sinistra del partito, il risultato è una vittoria. Perché – dicono – nel testo uscito dal Senato non c’era un riferimento esplicito all’articolo 18 (come da tempo sottolineato da Formiche.net, nonostante gli strepitii mediatici) e questa omissione avrebbe consentito al governo di avere mano libera nella stesura della norma di dettaglio, secondo l’area non troppo renziana del partito.

LA MOZIONE PD ADOTTATA DAL GOVERNO

La formulazione finale sul tema corrisponde alla mozione che la direzione del Pd ha approvato lo scorso 29 settembre con un ordine del giorno (130 sì, 20 no e 11 astenuti) in cui si legge: “Una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l’incertezza e la discrezionalità di un procedimento giudiziario con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro. Il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie

IL NUOVO CENTRODESTRA SODDISFATTO

Ma è proprio nei decreti attuativi che il governo soddisferà completamente le attese di Ncd, secondo quanto scrive il Corriere della Sera nell’articolo di Lorenzo Salvia: “L’idea di partenza è che il licenziamento disciplinare possa portare al reintegro solo in un caso: quando l’azienda manda via il lavoratore accusandolo di un reato che in giudizio si rivela falso”, scrive il quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli. E’ quello che sostiene di fatto anche l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, l’esponente del Nuovo Centrodestra che ha seguito tutta la partita con il ministro Giuliano Poletti e il senatore Pietro Ichino di Scelta Civica: “Gli impegni sono stati mantenuti”, ha detto Sacconi oggi in una intervista al quotidiano il Sole 24 Ore.

LE PAROLE DI SACCONI

“L’indennizzo diventa la sanzione ordinaria per tutti i licenziamenti, quelli economici e disciplinari, con l’unica eccezione per quei pochi licenziamenti disciplinari che il decreto legislativo del governo descriverà in modo certo”, ha detto Sacconi al Sole 24 Ore.”Si tratta di fattispecie estreme – ha aggiunto l’esponente Ncd ed ex ministro del Lavoro – infamanti per il lavoratore, prossime ai licenziamenti discriminatori. Per il 99% dei licenziamenti individuali la regola sarà l’indennizzo. Non si lascia spazio alla discrezionalità dei magistrati”.

LA FRASE DI RENZI

Emblematico il giudizio del premier Matteo Renzi sul Jobs Act: “È un provvedimento che non toglie diritti, ma alibi. Ai sindacati, alle imprese, ai politici”, ha scritto ieri nella sua newsletter. Una valutazione che combacia con l’opinione di mesi fa espressa in una conversazione con Formiche.net da Emmanuele Massagli, presidente del think tank Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi nel 2000 per promuovere studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro: “Rimango convinto – diceva Massagli lo scorso 10 ottobre – che questa battaglia sull’articolo 18 sia molto significativa dal punto di vista politico e simbolico. Può avere anche rilievo economico qualora Renzi grazie a una normetta così riuscisse a convincere gli imprenditori che qualcosa sta cambiando e quindi a re-incoraggiarli a investire. Da un punto di vista “tecnico” e della copertura quantitativa (quante persone interessate) però la norma stravolge ben poco. I contenuti più riformatori del Jobs Act sono altri, in primis la possibilità di demansionamento, i nuovi ammortizzatori sociali, la regia unificata delle politiche attive”. Parole che fanno tornare alla mente gli “alibi” ai quali fa ora riferimento Renzi.

Jobs Act e articolo 18, che cosa è davvero successo

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