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D’accordo, festeggiamo pure in stile renziano per la nomina di Juncker a presidente della Commissione europea. Ok, stappiamo anche bottiglie di spumante per quel magnifico patto politico che sta alla base della nomina di Juncker. E plaudiamo anche alle magnifiche sorti e progressive per l’Italia delle conclusioni trionfali – secondo il governo – del Consiglio europeo sulla flessibilità nell’applicazione delle regole europee, come sbandierato ieri dal premier in conferenza stampa senza troppi dettagli.

Poi, però, guardiamo la realtà oltre il giubilo su crescita e flessibilità nei conti pubblici.

Ieri non ci è stato permesso di oltrepassare quel rapporto tra deficit pubblico e prodotto interno lordo pari al 3% e non potremo avere meno cura nella riduzione del nostro debito pubblico. Le severe regole del patto di stabilità e del Fiscal compact restano immutate, ricorda il vicedirettore del Corriere della Sera, Daniele Manca.

Ohibò, ma allora perché tanto giubilo? Perché nel documento finale del Consiglio europeo c’è scritto che l’Europa – udite udite – “ha bisogno di aumentare gli investimenti e creare più posti di lavoro“. Gargarismi linguistici più che programmi.

Infatti poco dopo si afferma: “Dovrà essere prestata particolare attenzione a quelle riforme strutturali che agevolano la crescita e migliorano la sostenibilità dei bilanci“. Possiamo fare un esempio non troppo teorico? Magari le riforme strutturali sono anche il taglio della spesa pubblica e qualche altra ritoccatina alle imposte per rendere appunto sostenibili i bilanci. Pessimismo dietrologico? Vedremo.

Sta di fatto che l’Italia non ha ottenuto quel tempo in più concesso a Francia e Spagna per portare il deficit sotto il 3%, ricorda il Corriere della Sera. E Federico Fubini su Repubblica scrive che al momento non è certo che la Commissione europea darà il via libera politico alla richiesta dell’Italia di prorogare di un anno – dal 2015 al 2016 – il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio (ossia scontando l’impatto della recessione da cui il Paese è uscito), come richiesto a nome del governo Renzi dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan.

Non si tratta di una notizia di poco conto: se confermata, ci sarà un impatto sulla mole della correzione che dovrà imporre la Legge di bilancio in arrivo a ottobre: “Con lo slittamento degli obiettivi al 2016, poteva essere meno pesante. Senza, la manovra di autunno rischia di profilarsi invece come un’operazione da circa 25 miliardi“, spiega Fubini. Poco più di quella paventata dall’economista Gustavo Piga in questo articolo leggendo e compulsando i documenti economico-finanziari del governo.

Quindi perché festeggiare troppo? Perché è stato messo nero su bianco il concetto di “miglior utilizzo della flessibilità”, scrive Dino Pesole del Sole 24 Ore, che aggiunge: “Il miglior utilizzo della flessibilità, secondo le intese raggiunte ieri al vertice dei capi di Stato e di governo, non apre per noi la porta alle verdi praterie degli sconti da ottenere a buon mercato”.

Non solo: il no è stato netto alla richiesta di poter utilizzare i fondi europei senza dover contribuire con fondi italiani agli investimenti, dice anche Manca del Corriere della Sera. Quindi tutta la solfa ascoltata negli ultimi tempi sullo scomputo delle spese per investimenti pubblici dal calcolo del rapporto deficit-pubblico era solo fuffa per gonzi? Cercheremo di capirne di più.

Nel frattempo, un altro caposaldo alle interpretazioni buonistiche arriva da un titolo del quotidiano Repubblica: “Altro che flessibilità, il potere ce l’ha la Commissione”. Titolo forzato? No, se si legge l’intervista all’economista Daniel Gros. Sentiamo cosa dice: “Mi sembra fuori luogo, o perlomeno prematuro, questo ottimismo sulla conseguita flessibilità in Europa. Perché tutti parlano di accordo fra Stati? C’è solo una sorta di intesa fra il premier italiano e il cancelliere tedesco sul relativo ammorbidimento di alcuni parametri ma nulla è deciso, tutto andrà verificato con la nuova Commissione”. Per questo Gros, in un’analisi, consiglia: è la Germania che deve cambiare verso, con una spinta alla domanda per rimettere in moto tutta l’Europa. Basterà?

Merkel e Renzi, verità e bugie sulle regole flessibili

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