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Questa settimana è venuto improvvisamente a mancare Alfredo Mantici, per gli amici Duccio.

Come spesso accade in queste circostanze la prima reazione è stata di incredulità, ma quando ad andarsene è un uomo ancora giovane, vitale e così pieno di risorse come Duccio, questo senso di smarrimento permane e si confonde con la rabbia e il rimpianto. Quando ho appreso della sua morte stavo per chiamarlo per invitarlo a un pranzo che ci sarebbe stato di lì a poco. Ho perso, abbiamo perso, quest’ultima occasione di godere della sua impareggiabile compagnia fatta di conversazioni mai banali, di battute spiritose e argute, della sua presenza elegante, garbata, iconica. Sì, iconica perché anche la sua fisicità era unica. La chioma folta e candida, l’immancabile pipa, l’abbigliamento impeccabile, lo stile inconfondibile da gentleman inglese. Emblema di un’eleganza misurata, mai affettata ma classica e soprattutto innata.

Ricordo di averlo conosciuto quando dirigeva la scuola di formazione del Sisde (ora Aisi) e io lavoravo nell’analoga struttura del Sismi (ora Aise). Fu simpatia a prima vista alla quale si aggiunse presto una profonda stima e ammirazione per l’intelligenza, la cultura, il raffinato umorismo che ne faceva una persona capace di trasformare qualunque situazione di incontro, fosse professionale o privata, in un’occasione di impareggiabile piacevolezza. La sua prestigiosa carriera racconta della sua intelligenza e grande versatilità.

Non conosco nessuno che non ne fosse affascinato. Io stessa, lavorando entrambi per la stessa università, andavo sovente a sentirne le lezioni per il puro piacere di sentirlo argomentare. Da provetto analista geopolitico quale era, riusciva rendere fruibili i concetti più ostici, le dinamiche più complesse con una chiarezza espositiva e brillante che gli derivava dalla sua profonda cultura e da una appassionata e appassionante conoscenza della storia. Gli allievi pendevano letteralmente dalle sue labbra.  Sempre cortese, disponibile, in buona sostanza un gran signore, misurato e ironico quanto basta, apparentemente imperturbabile.

Solo una volta l’ho visto in una luce diversa. Commosso, sofferente, fragile ed è stato quando, senza trattenere le lacrime, mi ha parlato della recente scomparsa dell’amatissima compagna. Un grande uomo umanamente e intellettualmente, innamorato delle figlie e della loro passione per i cavalli. Viveva in una casa di campagna, come si immagina viva un gentiluomo, a contatto con la natura, gli animali, il mare.

Perché Duccio amava il Bello, che fosse cibo, vino, la buona compagnia.

Senza la minima retorica affermo con convinzione che mancherà terribilmente a tanti perché di uomini così se ne vedono davvero pochi. È stato un grande nel panorama dell’intelligence della quale ha ridisegnato, correggendo stereotipi e distorsioni, la corretta fisionomia.

Addio Duccio, ci hai dato tanto e ancora tanto avresti avuto da dare a noi colleghi, amici, allievi e al tuo amato Paese. Ti ricorderemo con profonda gratitudine e affetto ma questo non colmerà il grande vuoto che ci hai lasciato.

Che la terra ti sia lieve.

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