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Recenti indagini hanno messo in luce la portata numerica, tattica e strategica, della vasta flotta peschereccia cinese, denunciando gravi conseguenze per la sicurezza marittima globale. Si tratta di una flotta ibrida, con capacità di dissuasione militare anche se travestita con abiti civili.

Per esempio, un rapporto recentemente pubblicato da SeaLight, una società che utilizza la tecnologia disponibile in commercio per far luce sulla “zona grigia” marittima, accusa le navi battenti bandiera cinese di essere impegnate in un furto su larga scala di risorse naturali, anche all’interno delle zone economiche esclusive di altre nazioni.

Con oltre mezzo milione di imbarcazioni, la Cina vanta la più grande flotta di pesca commerciale del mondo, contribuendo al 28% della pesca a strascico globale. Questa pratica, come evidenziato da SeaLight, non solo impoverisce gli stock ittici, ma danneggia anche gli ecosistemi marini. Il rapporto sottolinea l’urgenza di una collaborazione internazionale, auspicando un aumento dei pattugliamenti marittimi e l’imposizione di conseguenze legali a fronte di certe violazioni.

Queste analisi si inseriscono in una serie di valutazioni su come la Cina stia spingendo l’evoluzione delle proprie forze marittime, passando da un rafforzamento della Marina dell’Esercito popolare di liberazione (Pla-N), che va dall’aumento delle capacità sottomarina alla costruzione di una flotta rinnovata e aumentata, fino ad arrivare alle attività ibride — come la flotta di pescherecci e il controllo di alcuni porti.

Inoltre, uno studio separato analizza il coinvolgimento della Cina nelle pratiche di lavoro forzato nell’industria della pesca d’altura. Lo studio rivela che un quarto dei pescherecci accusati sono di origine cinese, secondo quanto analizzato dalla Financial Transparency Coalition suggerisce misure pratiche, tra cui la divulgazione trasparente delle informazioni sulle imbarcazioni e la ratifica di convenzioni internazionali, per affrontare queste sfide dalle molteplici sfaccettature. Questi risultati fanno luce sulla complessità dell’impatto della Cina sulla pesca globale e sulle pratiche di lavoro, sottolineando la necessità di soluzioni globali e cooperative.

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