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In uscita ormai dall’estate, non è difficile rendersi conto che lo scenario internazionale è divenuto veramente preoccupante. Soprattutto sono i parametri generali ad aver subito uno stravolgimento.

Lo stesso Papa Francesco, noto per la sua moderazione e apertura culturale, poche settimane fa ha parlato di una “terza guerra mondiale a pezzi”, ben visibile nel proliferare di conflitti armati in ogni luogo del pianeta.
Certo, non si può realisticamente stupirsi della novità. Da quando dopo la caduta del blocco sovietico sono proliferati i conflitti balcanici, non c’è stata tregua, e, sopratutto, non c’è stata stabilità.

Oggi, poi, a distanza di più di un decennio dall’11 settembre 2001, che aveva visto affermarsi uno scontro tra Stati Uniti e terrorismo invisibile, questa guerra mondiale è diventata un conflitto tradizionale, una territoriale guerra mondiale, con tanto di forze in campo, reclutamento di milizie e così via.
La specificità di questa polveriera è però il fattore religioso, anima identitaria delle civiltà, in Medioriente identificato con l’Islam in lotta contro l’Occidente.

Insomma, che stiamo vivendo la terza guerra mondiale può essere un’affermazione provocatoria, ma che sia in atto un conflitto religioso tra mondo islamico e democrazia è fuori di dubbio.

Proviamo a capirne le ragioni. L’auto proclamato Stato islamico dell’Iraq è la piena attuazione di un disegno di potere che l’Isis sta mettendo in atto al fine di conquistare l’area politica strategica più rilevante culturalmente del mondo arabo. Baghdad nel Medioevo era la città di punta dell’Islam orientale. Oggi è ancora un simbolo rilevantissimo. Il califfato che sta nascendo, molto diverso dalla vicina teocrazia di Teheran, è, nondimeno, in perfetta continuità con l’idea assolutista, identitaria e legalista della religione coranica applicata in Iran.

È bene intendersi. Il problema non è l’Islam, una religione in sé affascinante e bellissima, ma la concezione dei rapporti tra politica, diritti umani di libertà e specificità religiosa che sta prevalendo in quell’area, senza un dialogo possibile.
Non dico che le cose di Cesare debbano necessariamente essere distinte ovunque da quelle di Dio per tutti i fedeli, ma certamente non possono essere identificate così apoditticamente senza smarrire il senso pluralista e liberale della democrazia come la conosciamo e pratichiamo noi.

D’altra parte, il mondo occidentale è in una fase criticissima della sua storia, sia dal punto di vista politico e sia da quello religioso. Gli Stati Uniti sono assenti e disimpegnati da troppo tempo a livello internazionale, e l’Europa, divisa in se stessa, vive una profonda perdita d’identità.
I punti di forza sono in questo momento la Chiesa di Roma e Israele, comunque quest’ultima costretta alla resa con Hamas.

Una cosa, dunque, è sicura. La nostra civiltà cristiana, che Jacques Maritain definiva radice e culla della democrazia, non può restare a guardare il declino dei diritti umani, del liberalismo e delle proprie conquiste secolari, osservando massacrare minoranze cristiane e singole persone. Vi sono momenti in cui la pace è da praticare, e momenti in cui bisogna combattere per difendere la possibilità stessa di vivere in pace.

Il mondo islamico è diviso, si dirà, e non è tutto uguale e tutto fondamentalista. Non sarò certo io a negarlo. Ma la potenza di consenso che la linea integralista sta avendo ovunque in Oriente e non solo non deve farci arretrare di un passo nella tutela della nostra visione umana della società e individuale della coscienza.

Gli Stati Uniti sono il faro dell’Occidente, una luce che appare spenta però da troppo, troppo tempo. Che Washington intervenga. Che la Nato intervenga. Non contro un nemico invisibile. Non contro una confessione religiosa. Ma contro un’idea materialista e violenta del sacro che è sbagliata e pericolosissima comunque la si guardi.
Giorgio La Pira diceva che il mondo è di chi se lo piglia. Non facciamo che il nostro mondo, i nostri valori spirituali e umani, siano di coloro che vogliono distruggerli e sostituirli con il ferro e il fuoco.

Esserci e presidiare militarmente il Medioriente non è una scelta, ormai. È l’unica condizione necessaria e sufficiente per garantire la sopravvivenza della comunità internazionale e quella di coloro che muoiono nel Mediterraneo per trovare in Europa la speranza di una vita migliore.

Come salvare l'Occidente cristiano dalla minaccia del radicalismo islamico

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