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La morte di papa Francesco è giunta a sconvolgere la primavera del 2025, concludendo le festività della Santa Pasqua nel trauma di un triste evento di addio del pontefice dalla sua vita terrena. La modalità repentina dell’epilogo è stato, in effetti, l’ultimo atto emblematicamente rivoluzionario di un capo della Chiesa realmente rivoluzionario.

D’altronde, gli ultimi dodici anni trascorsi sono stati contrassegnati dalla complessa figura di Jorge Mario Bergoglio, un periodo turbolento e sconvolgente per il mondo, e specificamente definito dalla particolarità unica di questa singolare e inconfondibile personalità. Io non voglio soffermarmi qui sul significato storico della sua biografia, già molto narrata sui media e su cui certamente si continuerà a lavorare con cura nei prossimi anni.

Mi sembra più importante guardare alla Chiesa, la cui realtà sopravvive sempre alle sue guide terrene, trattenendomi su ciò che questa istituzione divina e umana è, sui problemi che attraversa oggi e su quali siano le sfide che essa dovrà affrontare domani sotto la guida del suo successore.

Vi sono, a ben vedere, delle costanti che hanno attraversato indenni gli oltre duemila anni della storia della Chiesa e vi sono all’opposto situazioni continuamente diverse che emergono ogni volta come inedite.

Due sono i riferimenti imprescindibili da cui partire per definire l’essenza della Chiesa: il Dictatus Papae di Gregorio VII (XI secolo) e la bolla Execrabilis di Pio II (1460). Nel primo caso, il papa più riformatore del Medioevo asseriva l’indipendenza sovrana in ambito spirituale della Chiesa romana, spiegando che “solo” essa è stata creata da Dio in modo soprannaturale; nel secondo, invece, veniva recuperato alle soglie del Rinascimento da un papa colto e carismatico il tratto tipicamente ed esclusivamente “petrino” della sua universalità.

Non esiste, infatti, Chiesa senza il Vescovo di Roma e non esiste alcun tipo di collegialità episcopale senza la suprema autorità del Pontefice. La storia della Chiesa ci ha messo dinnanzi a tanti tentativi per sostituire queste due premesse assolute, tutti falliti miseramente, come è ben evidenziato dal conciliatorismo del XV secolo e dall’episcopalismo del XIX. Ogni volta, alla fine, vi è sempre stato un ritorno a questi due solidi pilastri della cattolicità: l’unicità della sovranità spirituale del papa e l’esercizio universale del suo magistero spirituale.

Ebbene questi due pilastri istituzionali dovranno essere necessariamente al centro nella discussione delle Congregazioni generali e poi del Conclave vero e proprio, perché, in un modo e nell’altro, con Benedetto XVI e Francesco, sono proprio essi ad essere entrati in crisi: nel pontificato di Ratzinger per una sostanziale inefficacia di esercizio della sovranità e nel regno di Francesco per una rinuncia ad esercitare in senso giuridico la sovranità stessa del papa come fondamento di ordine e governo della comunità cristiana.

A più riprese si sta leggendo in questi giorni di presunte dispute tra correnti conservatrici e progressiste che dividerebbero anche fuori dalle mura del Vaticano il collegio dei cardinali. La questione, a dire il vero, è mal posta e pessimamente descritta in questo modo.

Invero, l’obiettivo della Chiesa oggi è lo stesso di sempre: in primo luogo ripristinare l’essenza soprannaturale del Papato come fondamento dell’ordine interno di tutta la Chiesa, ben sapendo che dalla missione divina e umana della Chiesa dipende la speranza mondiale di un’umanità che non sia distrutta da guerre e decadenza morale; in secondo luogo offrire una forte proposta dottrinale, stabile e immutabile, in grado di dare certezze umane nell’attuale secolarismo.

Al papa e alla Chiesa è affidato da Cristo un nucleo di Verità assolute, che derivano direttamente dalla Rivelazione, le quali costituiscono il fondamento della salvezza per tutto il genere umano. Questa Verità misteriosa e intangibile cui si accede unicamente con la fede trasmessa dalla Chiesa, pur non essendo in contraddizione con la ragione, è il “deposito” che Cristo ha consegnato esclusivamente alla cattedra di Pietro per il bene dell’intera umanità: pertanto si tratta di contenuti che devono essere diffusi, comunicati, testimoniati con mezzi umani, ma non possono mai essere modificati e adattati dalle esigenze secolari dell’umanità. Questa Verità tutta intera è, d’altronde, sia divina e sia umana, riguardando cioè sia l’uomo in se stesso, sia Dio in se stesso e sia la loro misteriosa unione svelata dalla vita di Cristo.

Come ha spiegato H. Jedin, scrivendo del Concilio di Trento (XVI secolo), l’unico fine della Chiesa è la salvezza delle anime. E forse vale la pensa ripensare, in tal senso, alle parole pronunciate da Egidio di Viterbo in apertura del Concilio Lateranense V, assise di pochi decenni anteriore alla precedente: “Non è la Chiesa che deve essere trasformata dagli uomini, ma gli uomini dalla Chiesa”.

In definitiva, mai come adesso il futuro dell’umanità dipende dalla Verità della Chiesa, il cui senso riposa nel ripristino del primato assoluto del papa, nell’espressione universale della sua sovranità spirituale e nella consapevolezza del valore unico e assoluto che la Verità immutabile della fede cristiana detiene per la salvezza e il perfezionamento ultimo del genere umano.

St Peter's, Vatican

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