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Elezioni comunali, tutte le sfide di Renzi, Grillo, Salvini e Berlusconi

Matteo Renzi

Dopo le elezioni europee del 2014, queste amministrative 2016 sono il primo vero banco di prova per Matteo Renzi, importante perché il premier sconta il fatto di essere a Palazzo Chigi senza essere passato dalle urne. Il momento cruciale per la sopravvivenza del governo sarà il referendum costituzionale di ottobre, ma il voto comunale avrà la sua valenza come termometro dello stato di salute della maggioranza.

Matteo Renzi

La partita per il premier è alla portata. Dando per scontato che il Pd incasserà diversi risultati positivi, come a Torino e Bologna, dove secondo i sondaggi dovrebbero essere confermati i sindaci uscenti Fassino e Merola, e dando per persa Napoli, dove De Magistris sembra avviato alla riconferma, la vera partita Renzi se la gioca a Milano. A Roma, infatti, dopo Mafia Capitale e l’esperienza negativa di Marino, il Pd non viene dato per favorito, e infatti in testa nei sondaggi c’è la grillina Virginia Raggi. Se però il candidato renziano Roberto Giachetti arriverà al ballottaggio, allora anche nella Capitale il Pd se la potrà giocare. Insomma, a Roma la forza di Renzi è di avere poco da perdere: tutto quello che arriverà in più sarà grasso che cola. Diversa la situazione a Milano, dove Beppe Sala è partito come grande favorito e nel corso delle settimane ha subìto la rincorsa di Stefano Parisi: Sala è ancora in testa, ma Parisi lo tallona da vicino e al ballottaggio potrebbe accadere qualunque cosa. Se il Pd tiene Milano e perde Roma, Renzi potrà comunque dirsi soddisfatto. Se poi Giachetti dovesse vincere a Roma, allora sarebbe un trionfo. Ma se Renzi perde a Roma e soprattutto a Milano, allora il risultato sarà ampiamente negativo, una debacle che sarebbe un pessimo segnale in vista del referendum di ottobre. Altro pessimo segnale sarebbe se il Pd non riuscisse ad arrivare nemmeno al ballottaggio a Roma e Napoli. Per questo Renzi si è fatto vedere venerdì a Napoli al comizio finale di Valeria Valente.

Beppe Grillo

Poi c’è il Movimento 5 Stelle. Che ha chance di vittoria solo a Roma. Virginia Raggi è ancora in testa ai sondaggi ed è l’unica candidata data per certa al ballottaggio nella Capitale. Ma riuscirà a tenere anche al secondo turno? La sensazione è che la partita sia ancora aperta. Se al secondo turno andrà Giachetti, potrebbe incamerare i voti di Stefano Fassina, se andranno Marchini o Meloni, parte dei voti di ognuno confluiranno sull’altro. Resta da vedere se tutto ciò basterà a fermare la corsa della grillina verso il Campidoglio. Se la Raggi vincerà, l’M5S avrà l’occasione di dimostrare se è in grado o meno di amministrare una grande città, una delle più difficili d’Italia visto la crisi economica e non solo economica in cui versa, specialmente dopo le prove non esaltanti fornite dal M5S a Livorno e Parma. Insomma, la sensazione è che i grillini su Roma si giocano una buona fetta di futuro e credibilità. Se poi dovessero uscire sconfitti dalle urne, sarà la conferma che gli italiani non si fidano di loro e saranno condannati all’opposizione. Che, secondo la loro logica, potrebbe essere anche un bene.

Silvio Berlusconi

Questo voto sarà importante anche per Silvio Berlusconi. Le cui chance di vittoria sono tutte concentrate su Milano e su Stefano Parisi. Qui il Cavaliere è riuscito nella mossa del cavallo presentando un candidato moderato tenendo però insieme tutta l’alleanza di centrodestra, compresa Ncd di Angelino Alfano. Anche se Parisi dovesse perdere di poco, Berlusconi ne uscirebbe comunque a testa alta. Diversa è la situazione a Roma, dove tutto il centrodestra ha dato un pessimo spettacolo tra giravolte e dietrofront. Nella Capitale l’ex premier non è voluto sottostare al diktat di Salvini per Giorgia Meloni. Dopo la tragicommedia di Bertolaso, qualsiasi convergenza tra Meloni e Marchini al ballottaggio sembrerebbe una mossa rabberciata e di dubbia efficacia. Per questo alla fine l’ex Cav, che in questo voto si sta giocando il suo personalissimo derby con Salvini per la leadership del centrodestra, sarà più attento a quello che accade sotto la Madonnina piuttosto che all’ombra del Cupolone.

Matteo Salvini

Due sono gli obbiettivi che Salvini si propone in queste elezioni. Il primo, a Roma, è superare, con Giorgia Meloni, il candidato berlusconiano Alfio Marchini. Centrare questo bersaglio per lui significherebbe accaparrarsi la sfida per la leadership con Berlusconi. In secondo luogo il Carroccio deve tenere o prendere alcuni comuni al Nord considerati fondamentali. Due su tutti: Novara e Varese. Nel primo la Lega con Fdi – ma senza Forza Italia – appoggia Alessandro Canelli, che però non sembra avere grandi possibilità contro il sindaco uscente Andrea Ballarè del Pd. Più chance di vittoria ha invece a Varese, storico feudo leghista, Paolo Orrigoni, sostenuto da Carroccio, Fdi e Fi: il centrodestra qui è rimasto unito e capolista per la Lega è addirittura Roberto Maroni.

Giorgia Meloni  

Una che in questo voto amministrativo si gioca tutto è Giorgia Meloni. Se la leader di Fdi a Roma non riuscirà ad arrivare almeno al ballottaggio, per lei evaporeranno tutte le ambizioni di leadership nazionale. In caso contrario, invece, resterebbe sulla scena da protagonista, costretta però a fare da comprimaria a Salvini, almeno fino a quando la Lega avrà il triplo dei voti di Fratelli d’Italia. Da tenere d’occhio anche il risultato in una città a matrice destrorsa come Latina, dove il candidato di Lega e Fdi, Nicola Calandrini, è sempre stato, di poco, in testa nei sondaggi, in una città dove ci sono altri cinque candidati espressione della destra.

Stefano Fassina

Queste elezioni serviranno anche a capire se c’è vita a sinistra del Pd. Sinistra italiana (ovvero quello che resta di Sel più altri micro organismi) si è messa alla prova in due città: a Roma con Stefano Fassina e a Torino con Giorgio Airaudo. Sarà interessante vedere le percentuali raggiunte da questi due candidati. Nella Capitale, se Giachetti arriverà al ballottaggio, per vincere avrà bisogno come l’ossigeno dei consensi di Fassina, mentre a Torino il sindaco uscente sembra meno dipendente dai voti di Airaudo. Il test, comunque, servirà a capire lo spazio di manovra della sinistra fuori dal Pd e anti-renziana. Molto interessata è la minoranza dem: un buon risultato potrebbe provocare altre micro scissioni a sinistra. Anche se chi se ne doveva andare, come lo stesso Fassina e Alfredo D’Attorre, se n’è già andato e gli altri sembrano intenzionati a dare battaglia dall’interno del partito in vista del congresso. Le polemiche che hanno accompagnato la candidatura Fassina, cui una parte di Sel era contraria, non hanno giovato allo stato di salute dei nipotini di Bertinotti. Vedremo, però, se saranno premiati dalle urne.

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