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Si è spento nel lunedì dell’Angelo, il giorno di Pasquetta, papa Francesco. Lo ha comunicato il cardinale Kevin Farrell, aggiungendo che “la sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati”. Del suo papato e della sua eredità Formiche.net ne ha parlato con Massimo Faggioli, docente di Teologia e Studi religiosi alla Villanova University in Pennsylvania.

Francesco come elemento cardine del suo papato ha voluto mettere al centro Cristo, più che riformare la Chiesa. Che cosa ha significato, concretamente?

Un Gesù Cristo marginale, vicino ai marginali della società, economia e politica. Questo ha messo il suo pontificato in relazioni complesse e spesso conflittuali con il sistema di potere (religioso ma anche politico ed economico) in occidente. Meno polemico con quello nella parte non occidentale del mondo, su cui la chiesa cattolica ha meno influenza e spesso i cristiani devono sopravvivere in condizioni molto difficili, se non di persecuzione.

La partecipazione al cinquecentenario di Lutero colpì molti, alcuni stentavano a crederci. Che passo fu?

È stato un momento importante ma senza molte conseguenze: non solo per la crisi del movimento ecumenico post-conciliare di tipo ufficiale bilaterale e multilaterale. Anche perché per Francesco il modello (sulla sinodalità per esempio) a cui ispirarsi per alcune questioni sono le chiese ortodosse, non quelle della Riforma. E il tipo di protestantesimo dominante nel mondo non cattolico è da sempre quello calvinista, non quello luterano.

Il Concilio: ha auspicato che fosse finito il tempo dell’interpretazione e fosse cominciato quello dell’attuazione. È stato così? La novità sinodale fa parte di questa attuazione?

Questa nuova fase di ricezione del concilio è stata resa possibile, in parte, dagli “occhi nuovi” che Francesco ha portato all’ermeneutica del concilio. Nell’aprire il processo sinodale nel 2021, Francesco ha ricordato alla chiesa che il Concilio Vaticano II è stato di per sé un evento di sinodalità ante litteram. Tuttavia, proprio come il processo sinodale ci ricorda l’eredità del Concilio Vaticano II, ne ha anche evidenziato alcuni limiti per evidenti ragioni, oggi, sessanta anni dopo. Le discussioni all’interno e intorno al Sinodo sulla sinodalità hanno fatto emergere una preoccupazione diffusa su alcuni fallimenti della chiesa postconciliare nell’incarnare la visione del Vaticano II. E ha evidenziato movimenti nostalgici di revanscismo anti-conciliare, o di un cattolicesimo a-conciliare che si espone ai rischi del nazionalismo e del fondamentalismo.

Laudato Si’ e Fratelli tutti sono state encicliche molto impattanti. Che cosa resta dei messaggi di Francesco dentro e fuori la Chiesa?

Queste due encicliche sono le più popolari e conosciute anche al di fuori degli ambienti cattolici. Hanno sanato una certa frattura tra mondo cattolico e mondo esterno, ma non hanno potuto fare molto per la polarizzazione interna al cattolicesimo, in alcuni Paesi in particolare.

La predicazione del pontefice è sempre stata caratterizzata dall’attenzione agli ultimi e ai poveri. È un solco che ha tracciato la Chiesa di oggi e domani?

Francesco lo ha fatto in modo testimoniale e non intellettuale, come un cristiano che viene da quel mondo e non vuole lasciarlo. È un punto alto nella storia del ministero papale. Ma è difficile dire quanto questo modo molto personale di affermare la scelta della Chiesa per i poveri possa essere incarnata con la stessa forza da un altro papa. Di certo resta un esempio.

Quanto è stata realmente forte la contrapposizione tra la parte più conservatrice e quella più riformista della Chiesa durante il pontificato di Francesco?

È stata molto forte, direi senza precedenti nella storia della chiesa contemporanea, e ha raggiunto un picco tra 2016 (la pubblicazione di Amoris Laetitia, l’ascesa di Trump) e il 2018-2019 (lo scandalo McCarrick e Viganò, il Sinodo per l’Amazzonia). Poi quella opposizione frontale ed eversiva (con il suo epicentro negli Usa) ha cambiato tattica e si è messa in attesa, ma senza disarmare.

Cosa ha significato per il pontefice l’iniziale coabitazione con Ratzinger?

La coabitazione con Benedetto XVI è stata un esperimento che è andato tutto sommato bene, senza troppi traumi. Ma ha reso scettico Francesco sull’opportunità  di avere un papa a tempo, da cui ci si aspetti le dimissioni. Di certo è stata una coabitazione che ha cambiato in parte l’immaginario collettivo sul papato, a suo modo un aggiornamento del ministero papale in una direzione sinodale.

Vi racconto la chiesa testimoniale di papa Francesco. Parla Massimo Faggioli

La vicinanza della Chiesa di Francesco ai poveri e agli ultimi è un punto alto nella storia del ministero papale. “Ma è difficile dire quanto questo modo molto personale di affermare la scelta della Chiesa per i poveri possa essere incarnata con la stessa forza da un altro papa. Di certo resta un esempio”. Conversazione con Massimo Faggioli, docente di Teologia e Studi religiosi alla Villanova University in Pennsylvania

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