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Durante una dichiarazione trasmessa dalla televisione di stato il 31 luglio, la giunta militare attualmente al potere in Myanmar ha annunciato il prolungamento dello stato di emergenza e il posticipo delle libere elezioni, inizialmente previste per l’agosto del 2023, a data ancora da destinarsi. Questo slittamento è dovuto alle violenze in corso nel paese, che rendono “necessari provvedimenti di sicurezza per garantire libere e giuste elezioni, e permettere ai cittadini di votare senza alcuna paura”, secondo le parole della giunta stessa.

Questo rinvio è il quarto in ordine cronologico dal primo giorno del febbraio 2021, quando i militari realizzarono il colpo di stato contro il governo guidato dalla National League for Democracy, arrestando la sua leader Aung San Suu Kyi assieme ad altri esponenti dell’esecutivo. Il colpo di stato del 2021 (giustificato da presunte frodi registrate nelle consultazioni elettorali del novembre dell’anno precedente) ha chiuso la breve esperienza democratica che il paese asiatico ha vissuto per meno di 10 anni, riconsegnando il potere alle stesse forze armate che lo avevano detenuto per mezzo secolo. Come risultato del golpe l’ex Birmania è precipitata nel caos, con la popolazione civile che si è impegnata in forme di resistenza (armata o meno) contro il nuovo assetto governativo del paese, portando all’eruzione di una guerra civile.

“La giunta militare ha esteso la durata dello stato d’emergenza a causa della sete di potere dei generali, che non vogliono perdere i loro privilegi. Come gruppi rivoluzionari, continueremo a portare avanti e ad accelerare le nostre attività” ha commentato in un’intervista con Associated Press Nay Phone Latt, portavoce del National Unity Government, dopo aver specificato che l’estensione dichiarata il giorno precedente era tutt’altro che inattesa.

A poche ore di distanza dall’annuncio della nuova tabella di marcia, la giunta militare birmana ha diffuso un’altra notizia: quella della grazia, parziale, verso Aung San Suu Kyi, trasferita agli arresti domiciliari dal carcere la scorsa settimana. L’ex leader del paese, condannata a 33 anni di carcere per aver commesso (almeno secondo gli apparati militari) 19 diversi reati, si è vista ridurre la pena di 6 anni, con il venir meno di 5 dei reati per cui era stata condannata. Assieme alla presidente della Nld anche l’ex presidente Win Myint, deposto a sua volta nel golpe del 2021, è stato graziato dalla pena di due dei capi d’accusa per cui era stato condannato.

La riduzione della pena è stata concessa all’interno di una più generale amnistia che ha convolto altre 7.000 persone, in occasione della festività della Quaresima buddhista. Questo genere di amnistia è alquanto regolare, soprattutto in concomitanza con importanti feste religiose; tuttavia, fino ad oggi nessuno dei leader democratici birmani vi era stato incluso. Da una parte, questo potrebbe segnalare un ammorbidimento della giunta militare nei confronti dell’opposizione interna e anche dei partner esteri; dall’altra, esso potrebbe essere considerato un gesto poco più che simbolico, se si considera l’età della leader democratica rispetto alla durata della pena che deve ancora scontare.

I militari, Aung San Suu Kyi e il controllo del paese. Che succede in Myanmar?

In una dichiarazione trasmessa in diretta nazionale, la giunta militare al potere in Myanmar annuncia l’estensione dello Stato d’Emergenza e il posticipo delle elezioni previste per il mese prossimo. E a poche ore di distanza, arriva la notizia di una parziale grazia per la loro principale oppositrice politica

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