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Non c’era altra strada per Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti quando sono entrati nella grande sala di Palazzo Chigi per il Consiglio dei ministri che ha approvato la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza. E dunque, fissato il perimetro e la gittata della prossima manovra. Le conclusioni: meno crescita e più deficit nelle nuove previsioni economiche del governo. È la linea e la filosofia di Giorgetti, improntata alla prudenza e al senso di realtà.

Il responsabile del Tesoro e garante dei conti italiani sa che i mercati sono in agguato (in questi giorni i rendimenti sul Btp decennale hanno raggiunto quota 4,6-4,7%, anche sulla spinta dell’aumento dei tassi voluto dalla Bce, facendo innalzare lo spread). E sa anche che la riforma del Patto di stabilità, con cui allentare le regole di bilancio per aggiornarle ai tempi dell’inflazione, è tutt’altro che scontata. Tanto basta a rimanere nell’alveo della cautela.

E così, i saldi di finanza pubblica usciti da Palazzo Chigi non debbono stupire. Anzi. E allora, ecco come il Pil quest’anno è stato ridotto a +0,8% invece del +1% previsto ad aprile. Frenata che proseguirà l’anno prossimo con un +1,2% invece dell’1,4%. Un rallentamento che impatta sui conti pubblici e riduce i già esigui margini di intervento per la manovra 2024. Il governo non si è mai sognato di immaginare una finanziaria da 40 miliardi, ma da 20-25 sì. E anche mettere insieme questi denari sarà difficile, visto che ad oggi sicuri non ce ne sono nemmeno 10, il cui grosso è destinato al taglio strutturale del cuneo fiscale, la priorità delle priorità per l’esecutivo.

Ma l’attesa maggiore era tutta per il deficit, che nei fatti è il numero che più interessa all’Europa che vigila sui conti italiani. Nei mesi scorsi il governo aveva preventivato di portarlo nel 2024 al 3,7% rispetto al 3,5% tendenziale (cioè il livello che si otterrebbe senza nuove misure). In questo modo poteva contare su 4-4,5 miliardi da utilizzare nella legge di Bilancio. Ma il surplus è stato spazzato via dal rallentamento economico in corso: sul Pil del secondo trimestre è piombato il segno meno (-0,4%) e la Commissione Ue ha tagliato le stime sul Pil per quest’anno (+0,9%) e il prossimo (+0,8%).

Il rialzo dei tassi della Bce, che aumenta il costo del debito pubblico, ha fatto il resto. Per tener fede ad almeno una parte delle promesse nella manovra il governo ha dovuto per forza di cose alzare la soglia del deficit previsto ad aprile: un deficit tendenziale al 3,7-3,8% e uno programmatico, quello che guarda al 2024, al 4,2-4,3%: questo apre uno spazio in disavanzo di 0,4-0,5 punti percentuali, ovvero risorse per circa 8-10 miliardi da destinare in primis al taglio del cuneo fiscale. A tutti gli effetti però, una vera e propria linea rossa invalicabile oltre la quale non si può andare. Anche perché c’è l’incognita Superbonus, che finora ha azzerato ogni margine possibile sul 2022 e 2023 e portato il disavanzo 2023 al 5,2%. Ancora non è chiaro il tiraggio della misura per l’anno in corso, e soprattutto si attende che Eurostat chiarisca su quale anno grava la spesa. Se tutta sul 2023, oppure se getterà un’ipoteca anche sul 2024.

Le risorse in deficit su cui il governo punta per la prossima manovra, dunque, ad oggi non saranno quindi nemmeno sufficienti a confermare il taglio del cuneo fiscale che vale 10 miliardi. Serviranno quindi nuove entrate per trovare spazi e coprire la manovra. Una parte arriverà dalla tassa sugli extraprofitti delle banche (poco meno di 3 miliardi, se le stime reggeranno alla prova della nuova versione). Ma non si esclude anche una nuova tassa sui giochi.

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Inutile illudere i mercati con numeri magici o alchimie di finanza pubblica, quest’anno il Pil italiano non andrà oltre lo 0,8%, mentre il deficit nel 2024 si porterà al 4,3%, aprendo uno spazio di 8-10 miliardi. Ora le variabili da tenere d’occhio si chiamano Superbonus e Patto di stabilità

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