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Sullo sfondo si ha l’aggiustamento fiscale in Europa, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Nel caso dell’euro area si ha il dibattito sull’efficacia delle politiche di austerità provocate dal Fiscal Compact. Oltre Oceano il dibattito è su come evitare che gli aggiustamenti automatici del bilancio – che scatteranno con la fine del 2012 – portino alla recessione – il Fiscal Cliff. Oltre Manica il dibattito è sull’uso del bilancio della Banca Centrale per lenire l’aggiustamento dei conti, ovvero la monetizzazione del debito. Il dibattito è politico e si manifesta attraverso una discussione molto tecnica.
 
In origine si ha il Rapporto del Fondo Monetario che sostiene che si è sottovalutato l’impatto del moltiplicatore fiscale; l’impatto che ha sul Pil la combinazione di minori spese e maggiori entrate. Il risultato è che si “insegue” l’aggiustamento del bilancio pubblico. I conti pubblici non migliorano in misura significativa, perché le entrate si riducono così come il Pil. Si ha alla fine un deficit che non si comprime abbastanza e dunque genera più debito di quanto desiderato. Naturalmente si è avuto un dibattito acceso, che ha contestato anche nel merito del Rapporto del Fondo Monetario.
 
Poi ecco che la Commissione Europea si è pronunciata in difesa del Fiscal Compact. Nel suo Rapporto sostiene che l’impatto del moltiplicatore fiscale (per ogni euro di minori spese e maggiori imposte di quanto scende il Pil? In origine si pensava che per ogni euro di austerità si avesse mezzo euro in meno di contrazione del reddito nazionale) è stato maggiore di quanto atteso, perché le politiche di austerità non sono state prese abbastanza sul serio, con ciò intendendo che le manovre non sono state giudicate sufficienti a ribaltare la dinamica del debito. Ossia, i mercati finanziari non hanno abbattuto a sufficienza il premio per il rischio richiesto per comprare il debito pubblico di alcuni paesi e di conseguenza non è ripartito come avrebbe potuto il credito all’economia dei paesi “mal messi”. Non ripartendo l’economia dei paesi “mal messi”, si è avuto un peggior andamento anche di quelli “ben messi”. Insomma, non è l’austerità che non funziona, ma l’austerità non presa abbastanza sul serio.
 
Mentre la Commissione ribadisce il punto di vista “di Berlino”, si ha anche un primo apparire di una proposta non ufficiale di soluzione che renda l’austerità nell’euro area meno rigida. Si continua con l’austerità, ma si alzano i vincoli di Maastricht. Se i bilanci pubblici, invece di avere nel futuro un tetto del debito su Pil del 60%, lo avessero del 80%, le manovre sarebbero più morbide. Quelle italiane poi sono già sufficienti.
 
Il debito italiano è messo meglio di quanto sembri. Per queste tre ragioni. Il debito pubblico italiano a differenza di quello di molti altri Paesi – non corre il rischio di dover assorbire le “passività temporanee” delle banche divenute “crediti inesigibili”; ossia, esso non dovrebbe crescere oltre il (modesto) deficit caratteristico. Una volta che viene meno il sospetto del ritorno della lira, cade il “premio di conversione”, che alza il rendimento del BTP di circa cento punti base. Si sta esaurendo la corsa ai titoli obbligazionari che offrono dei “rendimenti negativi”, un segno della stabilizzazione dei mercati nell’area dell’euro. La conclusione è che il BTP dovrebbe registrare salvo eventi straordinari – un “premio per il rischio” inferiore, ossia dovrebbe offrire un rendimento minore ciò che si traduce – per i titoli emessi – in un prezzo maggiore. L’evento nazionale straordinario sono delle elezioni che rendano meno credibili le scelte di austerità fin qui intraprese.
 
(www.centroeinaudi.it)

Come rendere umano il brutale Fiscal Compact

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