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La prima crisi che ha colpito l’Italia è quella della rappresentanza, ossia il legame tra sovranità popolare ed esercizio del potere politico. La forma che essa assume è la disaffezione dovuta all’insoddisfazione che genera dissenso e protesta fino ad arrivare all’astensionismo, se non alla sollevazione. È questo il significato di antagonismo errante.
La crisi più profonda della sovranità è legata al declino della capacità degli attori politici di agire in risposta agli interessi dei cittadini che li hanno eletti. A cosa è dovuta questa ridotta capacità di mediazione politica tra rappresentanti e rappresentati? In Italia, come in altri Paesi, innanzitutto allo spostamento della sovranità verso l’alto – Bruxelles e l’Unione europea – ma anche verso altre istituzioni internazionali.
 
In secondo luogo, è dovuta alla “liberazione” o migrazione della sovranità verso il basso, attraverso un processo di regionalizzazione, spacciato per federalismo, con moltiplicazione dei centri decisionali e soprattutto con la sovrapposizione delle competenze. Il terzo fattore si può ravvisare nella diffusione dei vincoli derivanti dalla globalizzazione che impone regole e fair play nei confronti di tutti gli operatori indipendentemente dalla nazionalità, creando un’incongruenza crescente tra territorialità e tematiche dell’interdipendenza. Lo Stato nazionale si tramuta sempre più in Stato trans-nazionale, e il primo, quello nazionale, diventa una sorta di cinghia di trasmissione del secondo.
 
Al processo dell’intermediazione politica tra elettore e rappresentante si sostituisce in misura crescente quello tra individuo e mercato. Quarto punto è il neoliberalismo che ha imperato incontrastato dalla caduta del Muro di Berlino e ha generato importanti effetti in diversi ambiti: sul ruolo dello Stato divenuto sempre meno gestore attraverso i processi di privatizzazione delle imprese e delle proprietà pubbliche; sull’intermediazione politica attraverso il conferimento di gestione, regolazione e garanzia ad autorità indipendenti non responsabili verso alcun organo rappresentativo; sulla perdita di peso della politica rispetto alla tecnocrazia; sulle relazioni tra Stato e mercato che ha portato il primo ad abdicare al secondo ritenuto non solo di difficile controllo, ma soprattutto dotato di superiore nazionalità; sulla propensione ad indebitarsi non solo degli Stati, ma anche delle famiglie, con perdita della libertà di azione e sottomissione alle condizioni del creditore e del mercato, non appena la congiuntura monetaria e creditizia diventa avversa. Non a caso la crisi che ci ha colto è sostanzialmente iniziata con una bolla immobiliare negli Stati Uniti.
 
Come restituire maggiore pregnanza alla sovranità? Una soluzione potrebbe essere il suo spostamento verso l’alto, verso l’Uem – Unione economica monetaria – per costruire un federalismo progressivo attraverso un’unione fiscale, creando un’imposta federale sul reddito in grado di assorbire gli shock derivanti da spostamenti esogeni della domanda o comunque di compensare per l’imperfetta rispondenza della politica monetaria unica alle esigenze di ciascun Paese membro. Va considerata anche un’unione bancaria che riguardi la supervisione e l’assicurazione dei depositi, la ricapitalizzazione e la liquidazione delle entità divenute insolventi.
 
Altra soluzione potrebbe essere, con riferimento alla migrazione della sovranità verso il basso, il riordino in Italia dei livelli di governo, stabilendo competenze dove possibile esclusive e limitando al massimo quelle concorrenti.
Infine, con riferimento alla globalizzazione e ai vincoli che comporta, a mio avviso, è necessario salvaguardare quella reale, ma introdurre delle porte taglia-fuoco in quella finanziaria. Sarebbe opportuno, riprendendo il tema del neoliberalismo, riscoprire la politica macroeconomica, insieme con la gestione del pubblico bilancio. I mercati non sono dotati di intelligenza super umana, ma sono costruzioni umane fallibili, come gli uomini che le creano. L’efficient market hipothesys su cui si sono scritti milioni di pagine, ha sofferto molte smentite nella realtà e lo dimostrano le tante bolle che si sono formate. La creazione di autorità indipendenti non può essere perseguita senza limiti e senza un riconoscimento nella Costituzione, perché costituisce un vulnus non solo alla rappresentanza ma anche alla divisione dei poteri.
 
Il peso della tecnocrazia del governo è frutto anche della cattiva gestione dei politici. L’eccesso di indebitamento pubblico che affligge l’Europa mediterranea è il peggior fallimento della classe politica. Se i Paesi sono piccoli (come Irlanda, Grecia, Portogallo o Cipro) possono risollevarsi con l’aiuto esterno, se i Paesi sono grandi (come Spagna e Italia) vi sono soltanto le tre opzioni esposte da John Maynard Keynes già nel 1924: l’inflazione; l’insolvenza o il ripudio nelle sue varie forme, parziali o totali; l’imposta straordinaria. La prima l’abbiamo avuta nel 1947 per l’intelligenza politica di Luigi Einaudi, ma oggi è impossibile nell’attuale costituzione monetaria. La seconda è disonorevole per un Paese come l’Italia. La terza soluzione, a mio avviso, è la più idonea.

Quelle porte taglia-fuoco contro la crisi

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