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Negli ultimi anni, i fondi d’investimento (i cosiddetti venture capital) hanno alimentato l’ecosistema dell’innovazione con un focus quasi esclusivo sul digitale. Tuttavia, oggi l’attenzione si sta spostando verso settori tradizionalmente dominati dagli apparati pubblici, come la difesa e lo spazio. Non si tratta solo di una nuova tendenza tecnologica, ma di un cambiamento profondo che vede gli investitori privati entrare in ambiti strategici per la sicurezza e la sovranità nazionale. Un’evoluzione che è già in corso negli Stati Uniti e che ora comincia a prendere piede anche in Europa e in Italia.

Cos’è il venture capital

Il venture capital è un meccanismo di finanziamento ad alto rischio ma anche ad alto potenziale di rendimento. Questo tipo di investimento nasce per colmare un vuoto, intervenendo dove il credito bancario tradizionale non si avventura, ad esempio nelle fasi iniziali della creazione di un’impresa, quando non ci sono ancora margini, clienti o asset consolidati. I venture capitalist non si concentrano dunque sulla solidità immediata dell’azienda, ma sul suo potenziale di crescita in un mercato emergente.

Negli ultimi anni, però, il venture capital ha cominciato a ridefinire la propria missione. Non si tratta più solo di investire in ciò che è redditizio, ma anche in ciò che è strategicamente necessario. Questo è particolarmente evidente nei settori della difesa e dell’aerospazio, settori ad alto rischio finanziario eppure strategicamente importanti, specialmente alla luce degli ultimi sviluppi geopolitici. L’innovazione in questi ambiti riguarda dunque non solo il mercato, ma tocca anche temi di sicurezza nazionale, autonomia tecnologica e competitività globale. 

Difesa e spazio, le nuove frontiere dei fondi privati

Negli Stati Uniti, questo riposizionamento è ormai consolidato. A partire dagli anni 2000, con la creazione di In-Q-Tel (piattaforma di investimento dedicata alla security e fondata dalla Cia), si è avviato un processo che ha visto la nascita di un’intera generazione di startup e fondi specializzati nella sicurezza, nella sorveglianza, nella guerra elettronica e nell’esplorazione spaziale. L’intreccio tra capitale privato e esigenze pubbliche è diventato ormai sempre più fluido, con le startup che non costituiscono più solo dei fornitori, ma dei partner strategici di lungo termine per attori pubblici e privati. Il caso di Anduril Industries, fondata da Palmer Luckey, è emblematico. Una startup che in pochi anni ha scalato il settore della difesa e che oggi figura come fornitore del Pentagono accanto a contractor storici come Lockheed Martin e Boeing.

Ma il fenomeno non si limita alle startup. Anche aziende più strutturate stanno iniziando a beneficiare dell’ingresso di capitali privati, soprattutto in un contesto in cui la domanda di tecnologie avanzate da parte delle Forze armate cresce ma la capacità industriale europea fatica a tenere il passo. Il piano di riarmo europeo, accelerato dalla guerra in Ucraina e dalla crescente instabilità globale, richiederà nei prossimi anni investimenti massicci in capacità produttive, supply chain, infrastrutture e ricerca e sviluppo. In questo scenario, i fondi di investimento — anche quelli non strettamente “venture” — potrebbero diventare partner preziosi per mobilitare fondi privati a sostegno degli sforzi pubblici.

Galaxia, la scommessa italiana sullo spazio 

In Italia, un segnale tangibile di questo cambiamento è arrivato con Galaxia, l’iniziativa promossa dalla divisione di venture capital di Cassa Depositi e Prestiti e sostenuta da soggetti come Neva Sgr e Fondazione Compagnia di San Paolo. L’obiettivo è quello di trasformare progetti di ricerca accademica e scientifica in startup ad alto potenziale nel settore aerospaziale. Un’operazione che ricorda da vicino i modelli già visti negli Stati Uniti, ma che assume una valenza specifica nel contesto europeo: qui, più che di rivoluzione, si parla di accelerazione sistemica, in cui il venture capital si mette al servizio della politica industriale. 

Galaxia, alias del Polo nazionale di trasferimento tecnologico, non nasce dal nulla ma si innesta su una filiera tecnologica già presente in Italia e punta a fare da ponte tra università, centri di ricerca, startup e industria. I primi risultati parlano di 30 milioni di euro raccolti in fundraising e di sedici investimenti in cantiere, tra startup e proof of concept già realizzati. Uno degli aspetti più interessanti è che il programma guarda non solo all’upstream (lanciatori, satelliti, propulsione), ma anche al downstream, dove applicazioni di tipo civile e militare, come comunicazioni critiche, osservazione della Terra e data intelligence possono convergere. Si tratta, a tutti gli effetti, di una piattaforma di innovazione duale, pensata per servire sia le esigenze del mercato sia quelle delle istituzioni. Un modello che potrebbe rappresentare un punto di riferimento anche per altre iniziative nel campo della difesa e della sicurezza, oggi più che mai al centro dell’agenda nazionale e continentale.

Il piano Readiness 2030 (ex-ReArm), la corsa allo spazio e la crescente dipendenza dalle tecnologie critiche pongono un problema di fondo: chi finanzia la sicurezza? In passato, la risposta era semplice: lo Stato. Oggi, la risposta è più articolata. Il venture capital — insieme ad altri strumenti di finanza privata — può diventare una leva aggiuntiva per affrontare le sfide del presente, accelerando l’innovazione e rendendo più dinamico l’ecosistema industriale europeo.

Dal digitale alla sicurezza, come cambia il venture capital nell’era della competizione geopolitica

Il piano Readiness 2030 (ex-ReArm), la corsa allo spazio e la crescente dipendenza dalle tecnologie critiche pongono un problema di fondo: chi finanzia la sicurezza? In passato, la risposta era semplice: lo Stato. Oggi, la risposta è più articolata. Il venture capital — insieme ad altri strumenti di finanza privata — può diventare una leva aggiuntiva per affrontare le sfide del presente, accelerando l’innovazione e rendendo più dinamico l’ecosistema industriale europeo

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