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La transizione ecologica non è più una scelta opzionale ma una necessità sistemica. Tuttavia, per raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, o comunque in un orizzonte ravvicinato, non basta invocare la fine delle fonti fossili. È necessario elaborare una strategia capace di combinare realismo tecnico, flessibilità operativa ed equità territoriale, integrando la sostenibilità ambientale con la resilienza economica e sociale. Il cambiamento climatico, infatti, è la manifestazione evidente di un malfunzionamento complessivo dei nostri modelli di sviluppo e il Green Deal europeo, il programma Next Generation Eu e il pacchetto Fit for 55 propongono risposte articolate, spesso irrealistiche e avulse dai concetti di ragionevole sostenibilità, a questa sfida.

In questo contesto, per non uscirne massacrati mentre si tenta di fare bene, è fondamentale ribadire l’importanza del principio di “neutralità tecnologica”, oggi centrale nelle politiche comunitarie più sagge: non si devono predeterminare i percorsi ma valutare e premiare i risultati, lasciando spazio a tutte le tecnologie capaci di ridurre le emissioni di gas serra in modo misurabile e verificabile. È qui che i Crediti di Carbonio giocano un ruolo cruciale. Troppo spesso percepiti come meri strumenti finanziari o peggio come scorciatoie morali, i Crediti di Carbonio – se correttamente certificati e tracciati, sono in realtà uno dei vettori operativi più efficaci e intelligenti per accelerare la decarbonizzazione senza imporre modelli unici e senza sacrificare economie fragili o territori in ritardo di sviluppo.

Sono strumenti che permettono di premiare chi riduce o rimuove emissioni, di compensare in modo trasparente le emissioni residue inevitabili, e, soprattutto, di integrare diverse traiettorie tecnologiche in un unico cammino verso il Net Zero. La flessibilità intrinseca dei Crediti di Carbonio consente di valorizzare una pluralità di iniziative: progetti di riforestazione, sistemi di teleriscaldamento a biomassa, efficienza energetica industriale, cattura diretta della CO₂ dall’atmosfera, gestione intelligente del suolo agricolo. In tutti questi casi, ciò che conta non è il “come” ma il “quanto” e il “cosa” si riesce a ottenere in termini di riduzione o assorbimento delle emissioni.

Attraverso questo strumento, la sostenibilità si trasforma da costo a opportunità. Per le imprese diventa una leva competitiva e reputazionale. Per gli enti locali un’occasione di valorizzare patrimoni ambientali e progettualità territoriali. Per i cittadini, una possibilità concreta di partecipare alla transizione ecologica non solo come spettatori ma come attori responsabili. Nei miei lavori dedicati al tema delle transizioni energetica, digitale ed ecologica, finalizzate a una più ambiziosa e progressiva conversione ecologica, ho sempre sottolineato come il problema vero non sia semplicemente “decarbonizzare”, ma “decarbonizzare arrivandoci vivi”. Ovvero senza spezzare il tessuto industriale, senza generare nuove fratture sociali, senza marginalizzare i territori più fragili.

I Crediti di carbonio, in quest’ottica, si configurano non come un fine ma come uno “strumento abilitante”: un filo invisibile capace di legare insieme la decarbonizzazione tecnologica, la rigenerazione ambientale e il riequilibrio socioeconomico. Un ponte operativo tra l’urgenza ambientale e la sostenibilità democratica delle nostre società. Certo, i crediti non devono diventare un alibi per rinviare la transizione, né un pretesto per il greenwashing. La loro efficacia dipende dalla serietà della certificazione, dalla trasparenza della registrazione, dalla verificabilità dei risultati. Ma se usati con rigore e onestà intellettuale, rappresentano una delle leve più potenti per costruire un futuro climaticamente neutrale senza sacrificare la vitalità economica e sociale delle nostre comunità.

Oggi più che mai, il rispetto del paradigma della neutralità tecnologica e l’impiego responsabile dei Crediti di Carbonio possono aiutarci a mantenere aperte tutte le strade verso un futuro a basse emissioni, senza dogmatismi né scorciatoie. Un futuro in cui la conversione ecologica non sia una rottura traumatica ma un’evoluzione sostenibile e condivisa. Se davvero vogliamo raggiungere il traguardo del Net Zero 2050, dobbiamo smettere di pensare in termini di imposizioni astratte e iniziare a costruire percorsi concreti, adattabili, verificabili. E in questo cammino, i crediti di carbonio possono essere non solo uno strumento tecnico ma un principio organizzativo della nostra nuova convivenza con il Pianeta.

Cbam

Crediti di carbonio, incentivo o tassa mascherata? Il dubbio di De Bettin

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I crediti di carbonio si configurano non come un fine ma come uno strumento abilitante: un filo invisibile capace di legare insieme la decarbonizzazione tecnologica, la rigenerazione ambientale e il riequilibrio socioeconomico. Un ponte operativo tra l’urgenza ambientale e la sostenibilità democratica delle nostre società. L’opinione di Francesco De Bettin, presidente Dba Group

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