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Il dialogo come metro, gli interessi nazionali come obiettivo in quanto legittime aspirazioni, ma nella consapevolezza data dalla realpolitik di due Paesi che vantano un interscambio complessivo da 111 miliardi di euro. Il bilaterale tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron si intreccia, da un lato, con la geopolitica tarata su due temi pregnanti come la guerra in Ucraina e il dossier migranti. E, dall’altro, con l’esigenza di ricomporre le recenti tensioni innescate da Parigi, poggiandosi sul Trattato del Quirinale e sulla cognizione personale dei due leader. Nel mezzo l’intervento del premier ai lavori dell’Assemblea Generale del Bureau International des Expositions (Bie) in occasione della presentazione della candidatura di Roma ad ospitare l’Expo 2030.

Perché si può parlare di punto nuovo? Per via della capacità, data evidentemente dalla statura personale, di andare oltre le divisioni e di investire su ciò che accomuna due player primari dell’Ue. Quindi al primo posto la posizione sulla guerra in Ucraina, con la fierezza testimoniata da Giorgia Meloni del sistema Samp/T, un sistema operativo, fondamentale per difendere “i civili, le persone, gli innocenti, e dobbiamo essere fieri di aver lavorato alacremente per offrire questo strumento nel minore tempo possibile”.

Conseguenza diretta di questa affinità di base è il dialogo, al fine di apportare un “beneficio per rispettivi interessi nazionali, Ue e grandi sfide” e accanto ad esso il peso specifico rappresentato da rapporti economici bilaterali. “Siamo entrambi il secondo partner economico e commerciale dell’altro, si può continuare a migliorare in una prospettiva di rilancio della politica industriale continentale che è la nostra sfida comune”, ha spiegato il presidente del Consiglio. Tema che l’Eliseo ha apprezzato quando ha evidenziato il passaggio relativo al fatto che l’amicizia Francia-Italia è più grande dei disaccordi. “È questa amicizia che mi interessa prima di tutto, signora presidente del Consiglio, quella che permette talvolta di far vivere le controversie, i disaccordi, ma in un quadro sempre rispettoso perché si iscrive in una storia più grande e profonda di noi”.

Capitolo chiuso dunque, dopo le dichiarazioni del capo del partito del presidente Macron, Stéphane Séjourné? La risposta si ritrova “nei legami tra le due società, le economie, le università, gli artisti, che fanno vivere ogni giorno questo rapporto così unico che esiste tra l’Italia e la Francia”, ha aggiunto Macron, dando anche un indirizzo preciso (interno ai suoi). Da questo rilievo, dunque, appare facile poi interpretare quel “faremo di più” pronunciato da Meloni, anche perché non è immaginabile un rapporto tra i due Paesi che prescinda dalla collaborazione stretta e proficua in molti settori.

All’orizzonte il prossimo Consiglio europeo, su cui Meloni ha chiesto “passi avanti concreti rispetto a una visione della difesa della dimensione esterna”, con riferimento al superamento della diatriba tra movimenti primari e secondari. Occorre cioè puntare su alternative che consentano di favorire una migrazione legale e stroncare la rete di trafficanti. “Non possiamo continuare a consentire lo schiavismo del terzo millennio, che la selezione d’ingresso a casa nostra sia fatta da reti di criminali. Per questo bisogna cooperare per aiutare le nazioni africane a svilupparsi e garantire il diritto a non dover emigrare. Su questo lavoriamo insieme”.

Non solo Libia, evidentemente, ma anche Tunisia, su cui Roma e Parigi ammettono una convergenza settoriale e tematica, con l’auspicio di raggiungere un accordo efficace aspettando i progressi con il Fondo monetario internazionale. Passaggio decisivo per evitare una nuova crisi.

@FDepalo

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