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I finanzieri del comando provinciale di Roma hanno eseguito oggi, nelle province di Roma, L’Aquila, Reggio Calabria, Napoli, Perugia, Ancona e Campobasso un’ordinanza di custodia cautelare (in carcere per 22 persone e agli arresti domiciliari per 11 persone), per le ipotesi di reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e al riciclaggio, oltre che per i reati di estorsione, autoriciclaggio e detenzione abusiva di armi. Le indagini confermano la penetrazione della criminalità cinese nella società italiana, tra evasione, riciclaggio e narcotraffico.

LE INDAGINI

Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma ed eseguite dal Gruppo investigazione oriminalità organizzata del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma e dal Gruppo di Fiumicino, coadiuvati dal Servizio centrale investigazione criminalità organizzata della Guardia di Finanza e dalla Direzione centrale servizi antidroga, hanno permesso di individuare, in particolare, soggetti di nazionalità cinese a Roma che hanno svolto sistematicamente attività di riciclaggio di profitti illeciti conseguiti da più gruppi criminali dediti al traffico, anche internazionale, di sostanze stupefacenti.

I DUE GRUPPI

Due i gruppi ben distinti che lavoravano. Uno, quello dei cinesi e che gestiva le fasi del riciclaggio coordinati da Wen Kui Zheng. L’altro, invece, era composto da due sotto insiemi, due compagini criminali di “alto livello”, così li definiscono gli investigatori della finanza: la prima capeggiata da Antonio Gala e Fabrizio Capogna, l’altro da Federico Latini.

IL RICICLAGGIO

Le attività di “ripulitura” del denaro avvenivano presso le sedi di attività commerciali dedite all’import-export di abbigliamento e accessori di moda, tutte gestite da due comunità familiari cinesi nel quartiere Esquilino della Capitale. Tali esercizi, esistenti solo formalmente, fungevano in realtà da “centri di raccolta” del denaro di provenienza illecita destinato a essere trasferito all’estero (prevalentemente in Cina) in maniera anonima e non tracciabile. Tale illegale intermediazione finanziaria, basata su puntualità, discrezione e sicurezza, garantita dalle performance dei soggetti cinesi coinvolti, si fondava sul cosiddetto metodo “Fei Ch’ien” (letteralmente “denaro volante”), consistente nel virtuale trasferimento del denaro all’estero. Nei fatti, il denaro depositato presso il broker cinese non lasciava fisicamente il Paese di partenza, venendone invece trasferito il solo “valore nominale” alla controparte/broker presente nel Paese estero. La successiva compensazione poteva avvenire con modalità diverse quali, tra le altre, il ricorso a corrieri di valuta, bonifici “diretti” di importo frazionato (al fine di aggirare i vincoli antiriciclaggio) ovvero a mezzo di trasferimenti di denaro sulla base di operazioni commerciali fittizie.

I SEQUESTRI

All’esito delle attività delegate dall’Ufficio di Procura sono stati sequestrati circa 10 milioni di euro (di cui 8 milioni di euro presso lo scalo aeroportuale Leonardo da Vinci di Fiumicino), nei confronti dei “money mule” incaricati di trasferire fisicamente il denaro fuori dal territorio unionale; accertati conferimenti di denaro di provenienza illecita in favore della compagine cinese di stanza a Roma per oltre 4 milioni di euro. Nel complesso, sono state tracciate movimentazioni finanziarie per oltre 50 milioni di euro, dirette dal territorio nazionale verso la Repubblica Popolare Cinese. Per quanto, invece, concerne i conferitori del denaro contante da riciclare, le indagini si sono incentrate su due distinte associazioni criminali dedite al narcotraffico delle quali, in particolare, una si serviva di chat criptate per sfuggire ai tentativi di intercettazione e il cui contenuto è stato acquisito anche grazie alla collaborazione tra la Direzione distrettuale antimafia di Roma ed Eurojust.

LE ORGANIZZAZIONI

Come spiega una nota, le indagini hanno rivelato le “notevoli potenzialità” delle organizzazioni investigate che potevano contare su: metodologie di comunicazione all’avanguardia finalizzate ad evadere le intercettazioni; autovetture dotate di sofisticati vani segreti per trasportare droga, armi e denaro; luoghi dedicati, vigilati e difficilmente penetrabili destinati al deposito e alla lavorazione dello stupefacente prima della sua immissione nella rete di vendita clandestina.

LA RELAZIONE DEGLI 007

Di queste attività criminali si trova traccia anche nella “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza”, curata dal Comparto Intelligence e relativa all’anno 2022 presentata a fine febbraio. In quel documento l’intelligence scrive di “dinamismo affaristico-criminale di spregiudicati imprenditori sinici che, anche attraverso il ricorso ad articolati schemi di evasione fiscale e riciclaggio, cui spesso si accompagnano fattispecie di sistematica raccolta e trasferimento in Madrepatria dei proventi di attività illegali, sono riusciti – sfruttando a proprio vantaggio opportunità offerte dal mercato e vulnerabilità sistemiche nazionali – a consolidare il loro posizionamento all’interno di taluni settori economici nazionali, anche attraverso una sistematica collocazione in ben definite aree territoriali”.

IL LAVORO DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA

Di queste attività e connessioni internazionali si è occupata nei mesi scorsi anche l’agenzia di stampa Reuters, evidenziando che il governo Meloni ha chiesto alla commissione antimafia (presieduta da pochi giorni da Chiara Colosimo di Fratelli d’Italia) di indagare per la prima volta “sull’infiltrazione cinese nella società italiana”. Si tratta di un’idea lanciata sulle pagine di Formiche.net, visto che tra i compiti della commissione c’è quello di “valutare la penetrazione nel territorio nazionale e le modalità operative delle mafie straniere e autoctone tenendo conto delle caratteristiche peculiari di ciascuna struttura mafiosa e individuare, se necessario, specifiche misure legislative e operative di contrasto”.

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