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Molti giovani cinesi si trovano ad affrontare la disoccupazione a seguito della pandemia. Una condizione che li porta a tornare a casa con i genitori. Questa tendenza è determinata da un mercato del lavoro difficile, in particolare per la fascia di età compresa tra i 16 e i 24 anni, con tassi di disoccupazione urbani che hanno raggiunto livelli record e su cui il governo ha ordinato il silenzio (niente più pubblicazione di dati statistici da qualche settimana). I media internazionali li chiamano “full-time adult children”, la loro esistenza racconta di una Cina in fase di difficoltà economica strutturale, con un indebolimento delle prospettive per la classe media e un nuovo, complicato patto sociale da costruire (con tutti i rischi del caso).

I migliori senza lavoro

Più o meno uno su cinque tra i giovani non lavora. Ci sono circa 16 milioni di under-25 che usciti dalle università – anche dalle migliori di Pechino, Shanghai o Shenzen – non trova occupazioni di livello e si parcheggia in casa dei genitori. Anche se ci sono opportunità di lavoro, spesso infatti si tratta di posizioni di bassa qualità che i laureati non trovano interessanti. Una fonte da uno dei più prestigiosi atenei cinesi ha raccontato a Formiche.net che nel suo dipartimento (da cui escono studenti altamente qualificati) i professori iniziano a chiedersi tra colleghi se i loro studenti laureati troveranno mai lavoro per il settore in cui si sono specializzati. Nella Cina contemporanea questa è una novità.

Molti “figli adulti a tempo pieno” utilizzano il sostegno dei genitori per prepararsi a cercare fortuna per lavori governativi (il posto fisso vale anche in Cina, anche se vista la dimensione dell’apparato statale è un concetto molto più ampio) o per proseguire gli studi post-laurea (aumentando le specializzazioni e cercando fortuna anche altrove). Tutto ciò il riflette innanzitutto il cambiamento di atteggiamento dei genitori, che danno priorità al benessere emotivo dei figli rispetto al rapido inserimento nel mercato lavorativo e alla loro indipendenza finanziaria. Questa tendenza è visibile sui social media, dove alcuni ragazzi documentano i loro doveri domestici in cambio della paghetta.

L’Associated Press racconta per esempio la storia di una neo-laureata alla ricerca di fortuna nel tech hub di Shenzen, dove finora le figure qualificate avevano quasi possibilità di sceglierlo il posto di lavoro. Dopo sei mesi infruttuosi è tornata a vivere con i genitori, a 29 anni, e passa le giornate tra soap-opera e studio del giapponese – perché il suo piano è cercare fortuna in Giappone.

La storia rappresenta la sconfitta nella sconfitta, non solo un giovane potenziale talento cinese non trova impiego – aspetto che racconta il rallentamento nel processo di sviluppo, o se vogliamo una certa maturità della struttura economica-sociale cinese – ma indirizza i suoi sforzi nel cercare fortuna in un altro Paese, che per altro è un rivale strategico per Pechino. La narrazione nazionalista con cui il leader Xi Jinping vorrebbe spingere la crescita e la prosperità, aumentando i consumi interni, vanificata in due passaggi della vita della 29enne di Shenzen – la cui storia per altro è apparsa su un media globale americano.

Il problema dei giovani è della classe media

Sempre in questi giorni, il Guardian racconta invece la storia di una famiglia cinese di classe media che fa i conti con le preoccupazioni per il futuro davanti al costo della vita a Pechino e alla diminuzioni delle opportunità. È un altro spaccato significativo. Se i giovani non riescono a trovare lavori qualificati a livello degli studi accademici sostenuti, sarà difficile per loro accedere a un livello socio-economico più elevato e questo in futuro può impattare sullo sviluppo della classe media.

La storia del media inglese riflette una tendenza più ampia della classe media urbana cinese, che ha beneficiato del boom economico della nazione, trasformandola da un Paese prevalentemente rurale e impoverito nella seconda economia mondiale. La protagonista, una ragazza di nome Lynne nata nel 1990, ha vissuto una Cina in cui quasi il 70% della popolazione viveva in condizioni di estrema povertà quando era piccola. Oggi, la povertà estrema è stata praticamente eliminata, anche se persistono notevoli disparità di reddito.

La definizione di classe media in Cina varia, ma secondo il Pew Research Centre, la percentuale di popolazione cinese nel gruppo a reddito medio è cresciuta significativamente dal 2000 al 2018. Tuttavia, la mobilità sociale è in fase di stagnazione, soprattutto per coloro che sono nati in famiglie a basso reddito. La scalata sociale è diventata altamente competitiva e sempre più esclusiva dellle famiglie già benestanti. Xi ha riconosciuto queste frustrazioni e ha introdotto il concetto di “prosperità comune”, con l’obiettivo di ridurre le disparità di ricchezza. Tuttavia, le sue politiche non sembrano efficaci.

Propaganda must go on

Quando la Cina ha aderito all’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001, gli analisti occidentali avevano previsto che un maggiore impegno economico avrebbe portato alla liberalizzazione politica, mentre i leader cinesi avevano promesso prosperità in cambio di conformità politica. Tuttavia, nessuna di queste previsioni si è pienamente realizzata. La Cina si trova ora ad affrontare grandi sfide, tra cui un’economia colpita dalla pandemia, con una domanda in rallentamento e una crisi immobiliare, una popolazione che invecchia rapidamente, un ambiente commerciale teso e crescenti tensioni con i Paesi occidentali. Questi fattori sollevano il dubbio che l’ascesa apparentemente inarrestabile della Cina possa rallentare.

Tuttavia, nonostante i fatti, la narrazione deve continuare per tenere vivo il Partito. E non a caso, sempre in questi giorni è stata presentata pubblicamente dal ministero degli Esteri la cosiddetta Global Security Initiative (la Gsi, parte delle iniziative globali di Xi con la Global Civilization e la Global Development). L’obiettivo è mettere l’idea di ordine globale con caratteristiche cinesi (già noto e presentato al pubblico da tempo) anche sotto gli occhi degli osservatori meno attenti in vista dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

Nel documento ufficiale rilasciato adesso dal ministero degli Esteri di Pechino, si afferma per esempio che negli ultimi dieci anni l’idea di una comunità con un futuro condiviso per l’umanità è passata dall’essere un concetto a essere un’azione concreta e da una visione a una realtà tangibile soprattutto grazie alla Cina. Questo tentativo di spingere gli interessi cinesi a livello globale è basato anche sull’attenzione ricevuta da parte di una fitta serie di Paesi insofferenti all’attuale ordine globale post Seconda guerra mondiale, criticato perché troppo occidente-centrico.

“My makeup may be flaking”

La narrazione propagandistica è funzionale, però resta che per Pechino il problema è soprattutto interno. E questo rischia di complicare anche la proiezione internazionale: per tale ragione, il partito-secondo-Xi sta costruendo da tempo un nuovo patto sociale, al fine di evitare debolezze interne e dare di sé un’immagine e un’operatività esterna sempre più forte e consistente.

Tra l’altro, da quando Xi Jinping è entrato in carica nel 2012, Pechino è contemporaneamente diventata più assertiva sulla scena globale e il Partito ha rafforzato il controllo sul dissenso all’interno del Paese. Il patto centrale tra lo Stato e la classe media si è spostato dalla prosperità alla sicurezza, un cambiamento che potrebbe non essere in linea con le aspirazioni della classe media cinese in espansione nel XXI secolo. Adesso il Partito pretende di essere il depositario delle speranze delle collettività, chiede ai suoi cittadini un affidamento totale perché esso è l’unica realtà in grado di cavalcare le problematiche che attualmente sta affrontando la Cina.

Mentre Goldman Sachs continua a prevedere che comunque la Cina supererà gli Stati Uniti per diventare la più grande economia del mondo entro il 2035, altri economisti rimangono scettici. Sostengono che l’economia cinese potrebbe presto raggiungere il suo picco e che il percorso per diventare il numero uno è incerto. Questa incertezza aggrava le sfide della classe media cinese, che si trova a navigare in un panorama complesso di cambiamenti economici e aspettative sociali.

La situazione che mette in discussione il tradizionale contratto sociale tra il Partito Comunista e i giovani cinesi, poiché la scarsità di posti di lavoro dignitosi mina la forza economica del partito, è delicata. Sebbene per ora non vi siano significativi disordini politici, la crescente ansia e delusione tra gli studenti universitari potrebbe influire sulla fiducia nel futuro economico della Cina (da notare che gli investitori iniziano già a prendere vie diverse da quella cinese). Finora l’accettazione è pacifica, ma la resilienza rischia di essere una fase temporanea per le collettività cinesi.

L’economia debole di Xi Jinping produce "bamboccioni" e blocca la classe media

Pechino sta lottando con un problema economico strutturale che sta aumentando la base di giovani qualificati disoccupati che restano a vivere con i genitori e rallenta l’espansione della classe media. Per Xi Jinping serve un nuovo patto sociale, ma le collettività fin quanto accetteranno di affidarsi totalmente al Partito/Stato?

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