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Come in ogni cambiamento che si rispetti, anche stavolta, la Rai, è stata oggetto di particolare attenzione. Come ogni rituale, anche questa volta i gesti si sono ripetuti: qualche accusa, qualche difesa, come da copione. Per quanto possa essere emozionante partecipare ai rituali, può essere utile, tuttavia, accettare come un dato di fatto che al cambiar dei governi cambino i referenti Rai, e concentrarsi di più su un elemento che, forse, meriterebbe un po’ di attenzione.

Quale Rai sarà lecito attendersi? Perché in fondo è questo il nodo centrale: quali saranno le linee culturali che verranno espresse dalla nostra televisione? Il nuovo amministratore delegato, Roberto Sergio, che ricoprirà tale ruolo almeno fino al termine del mandato di Carlo Fuortes, che nelle proprie dichiarazioni ha dichiarato che non risultavano più esserci le condizioni per proseguire il proprio lavoro in tale veste.
Il nuovo ad ha una grande esperienza nel mondo RAI, e la sua competenza come direttore e come uomo di management è indubbia e comprovata. Amministrare la Rai, tuttavia, non vuol dire soltanto amministrare una società, per quanto importanti siano le dimensioni produttive della nostra televisione di Stato. Amministrare la Rai vuol dire anche rappresentare uno dei principali canali di politica culturale del nostro Paese.

La definizione di tale politica culturale, che di certo non compete l’amministratore delegato, che è chiamato a gestire la società, è stata molto rarefatta nell’universo Rai degli ultimi anni, condizione in parte dettata dall’esigenza di recuperare un terreno importante sui cosiddetti nuovi media. Rai ha dovuto infatti recuperare un importante ritardo rispetto alle altre emittenti nazionali ma soprattutto rispetto alle altre piattaforme di offerta audiovisuale, che complice anche il periodo di lockdown, hanno conosciuto un periodo di espansione fortissimo.

Oggi, tale ritardo, anche grazie ad ambiziosi piani industriali, è stato in parte colmato: l’offerta Rai, in ambito digitale, ha avuto una grande espansione, e il recente successo di alcuni prodotti audiovisivi ha agevolato non poco la familiarità con tutti i servizi digitali resi disponibili.
Questo contesto, pertanto, rappresenta lo scenario ideale per dedicare alla nostra televisione di stato una maggiore attenzione sotto il profilo culturale, definendo una politica di diffusione dei prodotti audiovisivi in grado di riflettere una volontà che vada oltre alle ambizioni dell’intrattenimento e che non segua, in modo pedissequo, le statistiche di gradimento degli ascoltatori.

Pensare alla Rai come uno strumento di diffusione culturale, intendendo la cultura nell’accezione più ampia del termine: perché la diffusione culturale non si esaurisce in quella quota cultura che spesso viene citata. Anzi. Guardando alla nostra storia recente, la diffusione culturale, è giusto ribadirlo, nel suo senso più ampio, non è avvenuta né attraverso i telegiornali, né attraverso i documentari o i film d’autore trasmessi a tarda notte.

Guardando al fenomeno televisivo italiano nella sua interezza (e quindi RAI ma non solo), i prodotti che hanno maggiormente influenzato l’immaginario nazionale sono stati prodotti audiovisivi legati al tempo libero, come ad esempio i programmi di cucina, o le serie televisive, come dimostrato anche dai recenti successi de l’Amica Geniale e Mare Fuori. Tali successi, che rispondono a produzioni intelligenti, hanno coinvolto, e questo è un dato importantissimo, tutte le fasce di età, anche quelle più anziane, cui invece vengono di solito destinate programmazioni a basso tasso d’attivazione dell’attenzione.

Questi dati devono far riflettere molto: anche e soprattutto il nostro attuale Governo che, come ha più volte tenuto a precisare, intende essere espressione di una visione culturale “non di sinistra”, per dimostrare che anche “la destra” ha una propria cultura.
Ignorando il contenuto vagamente adolescenziale di queste rivendicazioni che si rifanno a logiche ormai obsolete, quello che invece è importante valutare è il successo, anche tra la popolazione anziana, di prodotti culturali che sono stati invece destinati principalmente ad altre categorie di utenti.

Questo tipo di risultato pone in ombra la classica casistica della persona anziana che trascorre la propria giornata guardando la TV in modo passivo. Ed è un tema, questo, che potrebbe finalmente rivoluzionare il nostro modo di intendere la programmazione televisiva.
La gestione dell’Azienda RAI è un elemento di grande rilevanza, perché Rai è una delle più importanti industrie culturali e creative del nostro Paese.

Ma al di là del management, quello che occorre è una visione culturale chiara, che sappia anticipare dei bisogni che, in questo periodo di transizione, anche demografica, sono soltanto in minima parte soddisfatti dalle attuali programmazioni. Anticipare bisogni senza dover necessariamente proporre una televisione elitaria, perché coloro che ricercano film d’autore dispongono di piattaforme contro le quali difficilmente il “mezzo televisivo” potrà vincere. Anticipare i bisogni significa inserire argomenti di qualità e contenuti interessanti in prodotti audiovisivi che si rivolgono ad una platea più ampia delle singole nicchie di mercato.

È tempo di comprendere che oggi, probabilmente, la politica culturale passa più per prodotti audiovisuali interessanti che attraverso i talk-show; che è più facile incuriosire attraverso una serie tv che attraverso un documentario degli anni ’70.
La politica culturale della nostra Rai deve forse iniziare a governare l’attenzione dei telespettatori, anticipandone le direzioni, piuttosto che riflettere la composizione anagrafica della nostra popolazione.
È chiaro che, in questo scenario, le poltrone sono soltanto strumenti. Si sceglie il comandante di una nave sulla base della fiducia, ma anche in base alla rotta che è necessario seguire. Se non si ha una meta, un obiettivo preciso, il cambio di poltrona diviene soltanto una dimensione di politica spiccia.

Oltre le poltrone. Il caso Rai letto da Stefano Monti

Le poltrone sono soltanto strumenti. Si sceglie il comandante di una nave sulla base della fiducia, ma anche in base alla rotta che è necessario seguire. La politica culturale della nostra Rai deve forse iniziare a governare l’attenzione dei telespettatori, anticipandone le direzioni, piuttosto che riflettere la composizione anagrafica della nostra popolazione. Il commento di Stefano Monti, partner di Monti&Taft

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