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Il 15 e il 16 maggio la capitale danese ospiterà la sesta edizione del Copenaghen Democracy Summit, la conferenza internazionale organizzata con cadenza annuale dall’Alliance of Democracies Foundation che vedrà la partecipazione di importanti relatori provenienti da tutto il mondo. Tra questi Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, e il suo predecessore Anders Fogh RasmussenKaja Kallas, premier estone (e secondo alcuni tra i papabili alla guida della Nato), e Nancy Pelosi, speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti.

Tra le varie attività e tavole rotonde che si svolgeranno nelle quarantotto ore indicate è prevista anche la presentazione del Democracy perception index (Dpi), un sondaggio realizzato ogni anno dalla società demoscopica Latana in collaborazione con l’Alliances of democratic foundations con lo scopo di fotografare la percezione che gli individui intervistati (53.970 persone di 53 Paesi diversi) hanno della democrazia e dei suoi principi.

Il Dpi di quest’anno (già disponibile a questo link) contiene sia domande riguardanti la percezione della democrazia nel proprio Paese, sia quesiti relativi alle questioni politiche più scottanti, dall’Ucraina a Taiwan, arrivando fino alle proteste in Iran.

Sul conflitto in Ucraina, la quasi totalità degli intervistati si schiera a favore dello Stato attaccato, con il 48% che considera “giuste” le misure adottate da Stati Uniti, Unione europea e Nato per sostenere Kyiv, mentre il 35% afferma che “troppo poco” è stato fatto per sostenere l’Ucraina in seguito all’invasione Russa. Il restante 17% ritiene invece che anche troppo sia stato fatto per sostenere il governo ucraino. Per quel che riguarda invece l’imposizione di sanzioni e la recisione dei legami economici con la Federazione Russa, il supporto rimane altro tra gli intervistati provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti, mentre nel resto del mondo la maggior parte degli individui intervistati considera più importante la tutela dei legami economici con Mosca.

Risultati molto simili a quelli riguardanti la questione di Taiwan, dove i risultati continuano a essere contrapposti in base alla provenienza degli intervistati: mentre i cittadini dei Paesi occidentali (principali partner commerciali della Repubblica Popolare Cinese) sarebbero disposti a tagliare i legami economici con Pechino in caso di invasione militare dell’isola, gli intervistati provenienti dal resto del mondo hanno attitudini contrastanti o si schierano in netto favore per il mantenimento dei rapporti commerciali.

In Iran si registra una netta crescita nella domanda per una maggiore democrazia, con il 72% degli intervistati che riconosce l’importanza della democrazia rispetto al 61% dell’anno scorso, mentre il numero di persone che afferma che nel Paese non ci sia sufficiente democrazia passa dal 57% al 73%, registrando l’incremento più significativo in assoluto. Anche i dati sulla gender equality nella teocrazia mediorientale hanno subito un forte incremento nell’ultimo anno, passando dal 13% al 20%. Doveroso notare come l’Iran è il Paese dove la questione delle gender equality viene messa più in alto nella lista delle priorità rispetto ad ogni altro Paese preso in considerazione dal Dpi.

Alla domanda sullo stato di salute della democrazia, poco più della metà degli intervistati (precisamente il 57%) si ritiene soddisfatto delle condizioni democratiche del proprio Paese. Degno di nota è il fatto che l’insoddisfazione non è espressa soltanto da cittadini di Paesi governati da regimi illiberali, ma anche da europei e cittadini statunitensi: solo il 33% degli ungheresi, il 40% e il 49% dei greci e dei francesi ritiene di vivere in un Paese democratico.

A livello globale, le disuguaglianze economiche vengono ancora considerate come la principale tra le minacce alla democrazia dal 69% degli intervistati (in linea con i risultati degli anni precedenti), seguita dalla corruzione (68%) e dall’influenza delle grandi multinazionali, con il 60% dei consensi. La paura di elezioni inique ha registrato una forte crescita nelle democrazie di tutto il mondo (specialmente negli Stati Uniti, dove il 61% del campione dichiara di avere questi timori, contro il 49% del 2021), ma rimane relativamente bassa in Europa, dove “solo” il 47% dei cittadini esprime questa paura.

Opposte sono invece le risposte date sulla questione delle migrazioni: mentre a livello globale solo il 12% degli interpellati considera la riduzione del fenomeno migratorio come una delle tre priorità per i propri governi, in Europa le percentuali risultano essere molto più alte, raggiugendo picchi in Austria (34%), Germania (31%), Paesi Bassi (30%), Francia (28%) e Svezia (27%).

Infine, una sezione del sondaggio è stata dedicata al mondo tech. Dai risultati emerge come solo il 46% degli europei e il 43% degli statunitensi ritenga che i social media abbiano avuto un impatto positivo sul proprio Paese, mentre l’influenza delle Big Tech Companies viene temuta in particolar modo in Asia, con il 73% dei cittadini indiani e il 71% dei cittadini filippini che la considera una minaccia vitale alla democrazia nei loro Paesi.

Ucraina, migrazioni, disuguaglianza. Ecco i risultati del sondaggio Dpi

Di Lorenzo Piccioli

La sesta edizione dell’indagine demoscopica di Latana, in collaborazione con l’Alliances of democratic foundations, racconta che sul conflitto la quasi totalità degli intervistati si schiera a favore dello Stato attaccato, con il 48% che considera “giuste” le misure adottate da Stati Uniti, Unione europea e Nato per sostenere Kyiv

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