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Mes, al secolo Meccanismo europeo di stabilità, maneggiare con cura. Sono passate poco più di 48 ore dal sì della Corte costituzionale tedesca allo strumento che prevede, tra le altre cose, l’erogazione di risorse agli Stati che ne fanno richiesta, sotto forma di prestito. Ora l’Italia è davvero sola, unica Nazione dell’Unione a non aver ratificato il Trattato che porta in dote quello che originariamente era chiamato Fondo salva Stati. Ce ne è abbastanza per farsi qualche domanda, ma attenzione, anche per instillare una buona dose di prudenza, dice a Formiche.net Domenico Lombardi, economista ex membro del board Fmi e già senior scholar della Brookings Institution di Washington.

L’Italia, dopo il sì della Corte tedesca, è rimasta pressoché isolata in Europa sul Mes. Eppure c’è chi suggerisce prudenza nella ratifica del Trattato, come il ministro Giorgetti. Un atteggiamento giustificato?

Se parliamo di isolamento allora occorrerebbe chiedere conto ai governi precedenti del perché abbiano diligentemente evitato di approvarlo, pur avendo, e mi riferisco all’allora presidente Conte, preso impegni in tal senso con i partner dell’Eurozona. Se, invece, vogliamo parlare di sostanza, dobbiamo chiederci perché il Mes non è mai stato utilizzato da alcun Paese dopo la crisi debitoria sovrana, neanche all’apice della pandemia. Nessun Paese dell’Eurozona, sia che fosse governato dal centro destra che dal centro sinistra. Non sarà questa riforma a mutare il quadro.

Lombardi, la manovra italiana è rimasta, a detta di molti osservatori, nel solco della prudenza. Conti pubblici più o meno sani possono metterci nelle condizioni di rimandare un eventuale sì al Mes?

La legge di Bilancio prevede un lieve aumento dell’indebitamento per il prossimo esercizio per fronteggiare i costi, per famiglie e imprese, di una crisi energetica particolarmente seria, aggravata da una politica energetica ultradecennale miope e populista i cui frutti sono, oggi, sotto gli occhi di tutti. Tale aumento è, tuttavia, temporaneo e riassorbito nel biennio successivo. Il rapporto debito-pil, cresciuto a dismisura nell’ultimo decennio, è previsto in diminuzione, anche grazie all’effetto dell’inflazione, sempre nel medesimo periodo.

Quindi? 

I mercati hanno ben accolto la manovra. La sfida è di continuare su questo solco in cui si contemperano interventi a favore di famiglie e imprese con un graduale alleggerimento del carico impositivo, ma sempre nel quadro della massima responsabilità fiscale.

Parliamo di energia. L’Europa sul price cap ha dato prova di una scarsa e congenita mancanza di unità. Ma che cosa c’è che non va nell’Unione e perché è così difficile compattarsi quando serve?

Sul price cap, la Ue non ha fornito una bella prova. L’assenza di un coordinamento efficace delle politiche di acquisto ha messo in particolare difficoltà l’Italia che non ha lo spazio di manovra, fiscalmente parlando, di altri. Ne deriva uno sfalsamento del terreno competitivo del mercato unico con alcuni Paesi, come la Francia, che nazionalizzano compagnie energetiche mentre altri, come la Germania, introducono generosi sussidi.

Tutto questo che cosa ha prodotto?

La conseguenza è stata di isolare l’Italia nel fronteggiare la crisi energetica. Non ho visto fiumi di inchiostro in Italia su questo aspetto, probabilmente perché mette in difficoltà gli europeisti di maniera che abbiamo. L’assenza di interventi europei incisivi sul prezzo del gas, peraltro, ha lasciato sola la Bce che ha dovuto impostare una strategia di rientro dall’inflazione più severa con evidenti implicazioni per il costo del rifinanziamento del nostro debito.

Il mito del Mes. Roma ci pensi bene prima di seguire la Germania. Parla Lombardi

Intervista all’economista ex Fmi. Il sì tedesco non deve mettere sotto pressione il governo. L’Italia non è isolata, dal momento che nessun Paese ha mai fatto ricorso al Fondo salva Stati, neanche nelle fasi più acute della pandemia. La manovra è nel solco della prudenza, l’accoglienza dei mercati ne è la prova. Il price cap? Pessima prova dell’Europa

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