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Che la dichiarazione di distacco dalla Russia, fatta arrivare anonimamente da un funzionario del Partito/Stato al Financial Times, non segua una tempistica definita è poco credibile. Possibile che il commento su una Cina non a conoscenza delle volontà di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina non sia frutto del momento? La posizione è uscita sul più importante media del mondo alla vigilia del vertice odierno tra Joe Biden e Xi Jinping — il primo faccia a faccia tra i due da quando hanno assunto il ruolo apicale nelle rispettive leadership, un momento in cui le comunicazioni (formali e informali) sono controllatissime.

Il messaggio uscito sul giornale inglese è tra le varie cose una forma di rassicurazione che Pechino manda nei confronti di Washington. Non c’è alleanza, e non c’è collaborazione e allineamento sull’aggressione con Mosca. Se questo serve come mossa di buona fede da parte cinese, apre anche alla possibilità che gli americani calchino sulla non affidabilità di Putin e cerchino di trovare un cuneo. Tra i temi comuni, sarebbe eccezionale trovare un’intesa sino-americana per fermare la Russia e ricostruire uno status quo accettabile.

Non c’è da illudersi. La Cina ha tutti gli interessi a restare esterna alla partita. Pechino non intende interferire, almeno per ora, in vicende delicate che potrebbero essere un boomerang: non tanto per il rapporto con Mosca, ma nel rischio di sembrare troppo allineata con Washington e con l’Occidente — portatore di un modello di governance globale contro cui il Partito/Stato muove la sua costante narrazione.

Eppure, la Cina ha anche tutto l’interesse a non essere accomunata alla Russia. Pechino si vuole da tempo distanziare da un partner (di nuovo: non un alleato, quello mi sono mai stati) scomodo. Pesante per la narrazione cinese che ruota attorno a concetti come win-win, armonia e prosperità reciproca. Putin fa la guerra, uccide civili e invade un Paese in tempo di pace. Non si concilia con lo storytelling strategico cinese e attira troppe attenzioni su dossier sensibili — su tutti Taiwan.

Questo processo di distacco pubblico è in atto da tempo e ha valore tattico. Xi ha percepito che il rischio di essere considerato “l’amico” di Putin (lo aveva definito il suo miglior amico tra i leader internazionali poche settimane prima che lanciasse l’attacco a Kiev) sarebbe stato pessimo per l’immagine globale cinese. E forse non a caso aveva scelto di essere presente al vertice della Shanghai Cooperation Organization, non tanto per stringere la mano al russo, ma per mostrare in pubblico che la sua Cina era qualcosa di più e diverso. Ed era cruciale iniziare a farlo a Samarcanda, mentre rivendicava il diritto di autodeterminazione dei popoli centro-asiatici davanti al primo ministro indiano e con addosso gli occhi del Primo, Secondo e Terzo Mondo.

Era stato lo stesso Putin a dichiarare che con la Cina c’erano delle “incomprensioni” che tuttavia sarebbero state presto appianate. Il distanziamento cinese dalla Russia è però poi proseguito pubblicamente alla presenza di Olaf Scholz, quando — durante la visita del tedesco a Pechino — Xi ha pesantemente criticato i venti di guerra nucleare evocati dal Cremlino. Non c’è e probabilmente non ci sarà una posizione pubblica della Cina contro l’invasione russa dell’Ucraina, ma ci sono vari segnali che a questo punto diventano abbastanza palesi. Pechino è probabilmente indispettita per non essere stata avvisata (altrimenti avremmo messo in sicurezza i cinesi che vivono in Ucraina, ha spiegato la fonte all’FT) e questo imbarazzo è diventato anche più palese davanti all’insuccesso russo.

D’altronde, nella narrazione di potenza di Xi non c’è troppo spazio per essere amico di un perdente. Questo per adesso, perché se poi le cose dovessero cambiare la Cina — senza condanne pubbliche — si lascia spazi per recuperare. Il tutto ridisegna i rapporti di forza tra Cina e Russia, totalmente sbilanciati dalla parte della prima. Questo mette gli Stati Uniti davanti alla necessità di evitare che Mosca diventi succursale cinese (processo non certamente fluido ma strategicamente deleterio per Washington e per l’Europa).

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