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La geopolitica prescinde, purtroppo, dal calendario: la delicata congiuntura internazionale cui l’attuale maggioranza di centrodestra si è trovata confrontata dal momento del suo insediamento non svanirà come per incanto con l’anno appena iniziato. L’arco di crisi è in effetti vasto e interconnesso: da quella ucraina, innescata dalla brutale aggressione della Russia di Vladimir Putin nei confronti del vicino Paese lo scorso 24 febbraio, a quella, con pesanti ricadute interne, legata alla crescita vertiginosa dei prezzi dell’energia, alle crescenti tensioni tra Cina e Stati Uniti nell’Indo-Pacifico in relazione a Taiwan a quella migratoria cosi rilevante per il nostro Paese, per non citarne alcune.

A fronte di un quadro di tale natura, a più di un titolo inquietante, la coalizione che sostiene l’esecutivo dovrà pertanto continuare a dar prova nel corso del 2023 di quella coerenza di visione e scelte, di determinazione e volontà di tradurre in atti le proprie decisioni sin qui complessivamente mostrata, come riconosciuto anche da autorevoli commentatori non riconducibili all’area del centrodestra.

Bene ha fatto dunque il nostro presidente del Consiglio Giorgia Meloni a ribadire, in occasione della recente XV Conferenza delle ambasciatrici e degli ambasciatori che “l’Unione europea, la Nato e le Nazioni Unite restano i capisaldi della nostra politica estera” in seno ai quali “l’Italia intende giocare un ruolo da protagonista”.

Così come inappuntabile è stata la sua scelta di recarsi a Bruxelles per la sua prima visita all’estero da capo di governo anche in un’ottica di rassicurazione dell’opinione pubblica, nonché degli osservatori internazionali e dei mercati, quanto alla volontà della compagine da lei guidata di non cedere alle lusinghe e alle pericolose scorciatoie “sovraniste”; e di restare, piuttosto, ancorata a un ”europeismo” coerente con la storia e il dna della nostra politica estera dalla fine del secondo conflitto mondiale e in continuità con il lascito del governo Draghi.

Una prova eloquente in tal senso è stata offerta nelle scorse settimane dal varo, sulla scia anche di un costruttivo dialogo con i vertici comunitari, di una legge di bilancio complessivamente in linea con le attese della Commissione europea e con i parametri del patto di stabilità. Apprezzabile elemento di diversità rispetto a precedenti esecutivi è peraltro rappresentato dal visibile intendimento e capacità del governo Meloni di sottrarsi ai condizionamenti tradizionalmente esercitati sulle scelte di Bruxelles da talune capitali (Parigi e Berlino in primis), nel segno di un’Italia nuovamente consapevole del proprio status di Paese fondatore e della sua pari dignità con gli altri grandi attori del gioco europeo. Basti ricordare, circa il contenzioso in materia migratoria apertosi con Parigi, l’importante segnale di attenzione alle nostre ragioni e preoccupazioni per la prima volta manifestato dalla Commissione attraverso la proposta di un Piano d’azione europeo presentato dalla commissaria per gli Affari interni Ylva Johansson; circa il nostro rapporto con Berlino, il successo ottenuto dal nostro esecutivo – grazie anche all’importante lavoro preparatorio a suo tempo svolto dal governo Draghi – con l’intesa sul tetto al prezzo del gas nonostante le note riserve tedesche e olandesi.

Tutto lascia ritenere che di tale Italia, maggiormente assertiva in ambito europeo ma al contempo responsabile e propositiva, il nostro presidente del Consiglio cosi come i ministri maggiormente impegnati sul versante internazionale ed europeo – da Antonio Tajani (Esteri) a Giancarlo Giorgetti (Economia), da Guido Crosetto (Difesa) ad Adolfo Urso (Imprese), fino a Raffaele Fitto (Affari europei) – sapranno farsi interpreti al meglio anche nell’anno che si è appena aperto.

Sempre per restare sul terreno delle nostre alleanze l’altro grande banco di prova della credibilità internazionale del nostro Paese continuerà a essere rappresentato nel 2023 dalla nostra fedeltà atlantica, più che mai imprescindibile a fronte dell’aggressività del Cremlino e della preoccupante pervasività dell’influenza esercitata anche nel nostro continente dalla Repubblica popolare cinese. Anche in questo caso vi sono tutti i motivi per essere fiduciosi. Sono motivi che vanno dal convinto sostegno alla causa e alle ragioni di Kyiv mostrato dal presidente Meloni sin dall’inizio dell’aggressione russa a quello sfortunato Paese con una soluzione diplomatica del conflitto che appare ancora lontana (se mai essa avverrà); all’attenzione rivolta dal presidente del Consiglio, così come dai competenti Ministri, sin dalla nascita del governo in carica, al mantenimento di un solido legame transatlantico; al clima positivo e di reciproco apprezzamento che – sin dal loro primo contatto telefonico lo scorso 26 ottobre – ha caratterizzato i colloqui tra Meloni e il presidente statunitense Joe Biden.

Clima positivo che ha trovato riprova nella qualità del lungo faccia a faccia tra i due leader a margine del recente G20 di Bali, in Indonesia. Colloquio nel corso del quale sono stati affrontati – come recita la relativa nota di Palazzo Chigi – “il continuo sostegno all’Ucraina, la stabilità nel Mediterraneo e nell’Indo-Pacifico e i rapporti con la Cina”. E che ha consentito altresì di ribadire, prosegue il testo, i profondi e duraturi legami tra le due Nazioni e il forte interesse a rafforzare ulteriormente il partenariato nei numerosi settori di interesse reciproco. Decisamente un buon viatico sul versante delle relazioni italo-americane per l’anno appena iniziato, con una nostra credibilità atlantica rafforzata – oltre che dalla nostra apprezzata e qualificata partecipazione al dispositivo difensivo della Nato nel Mediterraneo e nei Paesi alleati più esposti alle mire di Mosca – dal nostro rilevante contributo alla missione Kfor in Kossovo, dallo scorso ottobre nuovamente sotto comando italiano, e dalla guida che abbiamo assunto lo scorso anno della Nato Training Mission in Iraq.

Il 2023 è un anno che vedrà il nostro Paese verosimilmente confrontato, in una posizione di prima linea, anche a un’altra sfida: quella di svolgere un ruolo sempre più attivo per la stabilizzazione del Mediterraneo orientale, della Libia e più in generale dell’area africana e nord-africana (dalla quale proviene buona parte dell’immigrazione illegale in rotta verso l’Europa e il nostro Paese). Ancor più a fronte di progressivo disimpegno statunitense – che proseguirà nonostante la crisi ucraina – dallo scacchiere sud-europeo e nord-africano per concentrarsi sulla sfida cinese che resta prioritaria per Washington.

Sotto tale profilo sarà per il nostro governo fondamentale, da un lato, mantenere aperto l’esistente canale di dialogo con la Turchia di Recep Tayyip Erdogan (attore, ci piaccia o meno, cruciale nella regione anche per quanto riguarda la gestione e il controllo dei flussi migratori dall’area balcanica e mediorientale) nonostante i forti condizionamenti esercitati da Ankara sul governo di Tripoli e la sua azione di contrasto delle attività della nostra Eni al largo di Cipro; dall’altro, continuare a operare, nelle condivisibili parole del presidente Meloni, “perché ci sia più Europa nel fronte Sud come l’Italia rivendica da tempo, non potendo gestire da sola flussi migratori di dimensioni ingestibili”.

In tal senso non meno importante sarà per il nostro esecutivo continuare ad adoperarsi per raggiungere risultati su due versanti al centro dell’agenda programmatica del presidente Meloni. Il primo – e già sono stati a tal fine conseguiti dal nostro governo passi avanti di un certo rilievo – quello del rilancio da parte europea di una effettiva attuazione degli impegni da tempo presi sul terreno migratorio. E questo, come dalla stessa fatto valere, anche “attraverso una cooperazione in materia con i nostri partner dell’Africa e del Mediterraneo, che devono essere maggiormente coinvolti nella prevenzione e contrasto al traffico di essere umani”. Il secondo, quello della promozione di un piano Mattei per l’Africa, in un modello virtuoso di crescita sia per l’Unione europea sia per le nazioni africane, non predatorio e rispettoso dei reciproci interessi”. Di tale approccio – e il 2023 ci dirà se, come credo, tale aspirazione è realistica – l’Italia, sempre nelle parole del presidente Meloni, intende giustamente proporsi come “una delle nazioni guida , anche per contrastare il dilagare del radicalismo estremista soprattutto nell’area sub-sahariana”.

Un ulteriore banco di prova per la politica estera del nostro governo nel corso del 2023 sarà poi inevitabilmente rappresentato dal contributo che riusciremo ad apportare agli sforzi europei e americani per una stabilizzazione della per noi cruciale area balcanica, ancor più ove le riaffioranti e preoccupanti tensioni tra Serbia e Kossovo dovessero protrarsi – come vi è purtroppo motivo di temere – nel 2023. Con verosimili negative ricadute su almeno tre versanti: quello del controllo dei flussi migratori illegali, quello del processo di adesione all’Unione europea dei Paesi candidati dei Balcani Occidentali e, last but not least, quello del contenimento della perniciosa influenza che Mosca esercita nella regione grazie in primis alle sue forti capacità di condizionamento delle scelte dell’attuale dirigenza serba.

L’attivismo di cui il nostro governo sta dando prova in materia (dall’importante partecipazione del presidente Meloni alla conferenza sui Balcani a Tirana lo scorso 6 dicembre, con il ribadito e molto apprezzato sostegno italiano alle aspirazioni europee dei Paesi della regione nei tempi che si riveleranno necessari, alla tempestiva e opportuna visita a Belgrado e a Pristina del ministri Tajani e Crosetto alla fine dello scorso novembre) lascia ben sperare. Cosi come il fatto che proprio ai Balcani occidentali sarà riservata una delle prime importanti iniziative della nostra azione diplomatica per il 2023: la conferenza sui Balcani a Trieste annunciata per il 24 gennaio dal ministro Tajani.

Sul piano interno – o meglio delle ricadute a livello nazionale, dei nostri impegni a livello comunitario – sarà naturalmente essenziale per il governo adoperarsi per una per quanto possibile compiuta messa in atto del Pnrr nei tempi previsti e per una sua rimodulazione ove possibile, in raccordo con la Commissione europea, alla luce della guerra in Ucraina e della crisi energetica. Di tutto questo il presidente del Consiglio e l’esecutivo appaiono fortunatamente ben consapevoli.

Infine, un’altra sfida per il 2023, discendente anch’essa dai profondi mutamenti in corso a livello geopolitico, sarà quella della realizzazione in tempi per quanto possibile ravvicinati di infrastrutture per noi fondamentali come i rigassificatori: strumenti essenziali per la diversificazione del nostro approvvigionamento energetico. Un problema potrebbe essere rappresentato dalla resistenza dei territori. Il superamento di tale criticità, in uno spirito di condivisa consapevolezza, rappresenterà senza dubbio un ulteriore banco di prova per un esecutivo politico deciso, come sopra accennato, a fare di nuovo del nostro Paese un attore riconosciuto e apprezzato delle dinamiche europee, mediterranee e non solo in un raccordo – che tutto lascia prevedere resterà proficuo e costante – con i nostri partner atlantici a cominciare dagli Stati Uniti.

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