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“C’è una finestra molto stretta per evitare il genocidio nel Tigray”, ha avvertito la scorsa settimana il capo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, a proposito della sua nazione natale, l’Etiopia, con un messaggio diretto ai colloqui di pace che in qualche modo inizieranno oggi in Sud Africa.

Il vertice è stato mediato dall’Unione Africana in uno sforzo attivo per ripristinare margini di deconflicting e avviare il complesso percorso di stabilizzazione, nonostante i combattimenti continuino, anche con il coinvolgimento maggiore dell’Eritrea, che sta sfruttando la guerra di Addis Abeba nel Tigray per regolare i conti con i tigrini.

Quasi due anni di combattimenti tra forze governative e ribelli nel Tigray hanno creato una delle peggiori crisi umanitarie del mondo all’interno del secondo più popoloso Paese africano. Non esiste un’altra situazione a livello globale in cui 6 milioni di persone siano state tenute sotto assedio per tutto questo tempo, ha sottolineato Tedros: “Banche, carburante, cibo, elettricità e assistenza sanitaria sono usati come armi da guerra. Anche i media non sono ammessi e la distruzione dei civili avviene nell’oscurità”.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha avvertito nei giorni scorsi che “la situazione in Etiopia sta andando fuori controllo” e chiesto a nome delle Nazioni Unite un’immediata cessazione delle ostilità, l’avvio di negoziati solidi e il ritiro delle truppe eritree ed etiopi  dal Tigray.

Avvertimenti arrivati mentre si intensificavano i combattimenti tra il Fronte di Liberazione del Popolo del Tigray e le forze etiopi ed eritree — quest’ultima alla guida di un’offensiva profonda che ha permesso ai governativi, supportate anche dalle milizie della regione dell’Amhara, la sanguinosa riconquista di tre città chiave del Tigray.

Le Nazioni Unite hanno accusato le forze etiopi di aver imposto un blocco di fatto sul Tigray, sebbene alcuni aiuti abbiano raggiunto la regione all’inizio dell’anno —durante un cessate il fuoco temporaneo. La tregua si è rotta ad agosto e, con la nuova escalation dei combattimenti, la situazione umanitaria si fa sempre più drammatica. Il Tigray è quasi completamente isolato, e contro il governo di Abiy Ahmed pesano accuse di “starvation warfare”, ossia usare il blocco dei beni di prima necessità (come il cibo) per fini bellici.

Nonostante l’Etiopia affermi che ora consegnerà gli aiuti e proteggerà i civili, Addis Abeba e Asmara potrebbero cercare di manovrare le forze del Tigray dietro un assedio più stretto, attirando la popolazione verso le aree controllate dai federali, in modo da isolare le forze del Tigray e ingraziarsi i civili consegnando loro cibo. Ci sono anche segnalazioni secondo cui i comandanti eritrei intendano invece costringere i civili a entrare nelle roccaforti delle forze del Tigray, in modo che le scorte di cibo si esauriscano nelle aree controllate dal Tigray, indebolendo così le forze locali e facendole apparire responsabili delle masse di persone affamate.

Il governo etiope ha risposto positivamente alla richiesta di partecipazione ai negoziati avanzata dai ribelli, ma con ampia riserva. “Tuttavia, [siamo] costernati dal fatto che alcuni siano intenzionati a impedire i colloqui di pace e a diffondere false accuse contro le misure difensive”, ha detto Addis Abeba per bocca del consigliere per la Sicurezza nazionale del leader Abiy Ahmed.

Il tema della disinformazione e della propaganda è feroce e spinge la perdita del discernimento tra aggressori e aggrediti (aspetto comune nella fasi di battaglia più acerrima). Tra l’altro l’assenza quasi totale di una copertura media internazionale — terza e trasparente — ha fatto in modo che le atrocità venissero nascoste e il conflitto quasi ignorato da buona parte della Comunità internazionale (concentrata su dossier più ampi come la guerra russa in Ucraina per esempio).

La risposta del mondo alla guerra in Tigray è stata scarsa, nonostante l’enorme bilancio delle vittime e il potenziale peggioramento della destabilizzazione regionale. Il rischio di attacchi su larga scala contro i civili è alto. La deriva che sta portando a un ruolo più attivo dell’Eritrea è preoccupante. Il quadro generale è complicato dagli interessi che tutti gli attori in campo (ad Addis Abeba, Asmara, Mekelle) riversano nella crisi.

Convincerli a un negoziato è uno sforzo in cui la Comunità internazionale potrebbe avere strumenti limitati. Ma è evidente che la pace arriverà solo attraverso le difficili concessioni di un accordo negoziato.

Però più aumenteranno le atrocità e più è probabile che i negoziati diventino lontani, che i vari leader in campo siano portati a difendere con una reazione violenta le loro narrazioni.

La priorità immediata deve essere quella di scoraggiare le uccisioni di massa, secondo il Crisis Group, che nei giorni scorsi ha pubblicato una call-to-action che ha ricevuto attenzione e supporto internazionale. Il think tank di Washington — secondo le cui informazioni dal 24 agosto sarebbero stati coinvolti più di mezzo milione di combattenti e ucciso decine di migliaia di persone — scrive: “L’offensiva congiunta etiopico-eritrea ha ottenuto significativi guadagni nel Tigray, segnando un’altra svolta nel brutale conflitto etiope. Il rischio di attacchi su larga scala contro i civili è alto. I leader africani e mondiali devono intervenire con urgenza per evitare una catastrofe umanitaria ancora più grave”.

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