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C’è un curioso dibattito attorno al ruolo che avranno, d’ora in poi, quei popolari e quei cattolici popolari che sono rimasti nel Partito democratico. E, nello specifico, nel Pd a trazione Schlein, cioè una leader politica che è semplicemente estranea ed esterna alla tradizione e alla cultura del cattolicesimo popolare e sociale. Come ovvio, nulla di male e, al contempo, tutto legittimo ma resta, e qui consiste la curiosità, la domanda su quale sia il futuro ruolo di questo filone ideale in un Pd che non solo ha spostato il suo asse a sinistra ma adottando una impronta ed una strategia – almeno così emerge dalla piattaforma progettuale della nuova leadership – marcatamente radicale, libertaria e massimalista.

In questo contesto è stata perlomeno singolare, nonché anacronistica, la prima uscita pubblica come presidente nazionale del Pd di Stefano Bonaccini, almeno scorrendo molti organi di informazione. Sul ruolo dei cattolici nel Pd, dopo la lamentela un po’ patetica e un po’ grottesca di alcuni ex popolari rimasti in quel partito, il presidente dell’Emilia Romagna ha risposto candidamente che, di fronte al disagio espresso dai cattolici dopo l’esito delle primarie, ai suddetti cattolici va dato pur qualcosa per “farli sentire a casa loro nel Pd”.

Ora, di fronte ad una riflessione del genere, è di tutta evidenza che viene subito in mente la concezione che tradizionalmente i comunisti hanno sempre avuto dei cattolici e dei rapporti con gli stessi cattolici. E Bonaccini, coerentemente con la sua cultura originaria e la sua formazione giovanile, individua nei cattolici una categoria a cui va dato pur qualcosa per farli sentire a casa propria anche in un partito dove la cultura dominante – oggi più che mai con una impostazione politica radicale, libertaria ed estremista – è sideralmente lontana se non addirittura alternativa rispetto alla cultura e alla tradizione cattolico popolare e sociale.

E qualcosa ai cattolici il Pci, per fare un paragone storico, l’ha sempre garantito e anche generosamente concesso. A cominciare dalla puntuale manciata di seggi parlamentari gentilmente elargiti ai cosiddetti “cattolici indipendenti di sinistra” e qualche ruolo negli organismi di partito. Con la garanzia, al contempo, che suddetti seggi e incarichi negli organismi di partito non intaccavano minimamente il progetto, la mission, il profilo e la natura del partito ospitante. Nel passato il Pci e oggi, a maggior ragione, con il “partito radicale di massa”, per dirla con Luca Ricolfi, cioè il Partito democratico. E su questo versante l’ex comunista Bonaccini è del tutto coerente con la sua cultura di riferimento.

E, oltre a questo elemento – strutturale e autenticamente politico e non solo di costume – c’è anche un altro dato. E cioè, la cultura di riferimento del Pd non è più quella che ha dato vita al progetto democratico dell’inizio degli anni duemila. Ovvero, l’incrocio e la convergenza tra la cultura cattolico democratica e popolare con quella ex comunista e socialdemocratica, è stata letteralmente archiviata con l’arrivo al potere di Elly Schlein e sostituita, legittimamente, da un’altra impostazione ideale e quindi politica. E, di conseguenza, cosa centrino ancora gli ex popolari con un progetto politico radicale, libertario ed estremista resta un mistero. Non della fede, però, ma un mistero di natura politica.

Ecco perché, alla fine, ha veramente ragione Bonaccini. E cioè, ai cattolici – cioè agli ex democristiani rimasti nel Pd – va pur dato qualcosa affinché non continui la litania della lamentela. Chiudendo, però, l’intera questione lì. Come avveniva, appunto, nel vecchio Pci e come avviene oggi, e a maggior ragione, con la guida del partito di Schlein. Certo, c’è un altro modo per essere più coerenti in politica come popolari e come cattolici sociali… Ma questo è un altro discorso e che non centra affatto con il profilo radicale e massimalista del nuovo corso del Partito democratico.

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