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In questi giorni, basta fare una ricerca su Twitter dei principali luoghi di proteste in Cina, tra cui Pechino, Shanghai, Nanchino e Guangzhou, per imbattersi in una marea di immagini spam, pornografia e parole senza senso. Donne poco vestite in pose suggestive e frammenti di parole casuali. Quasi tutti gli account da dove provengono questi tweet sono stati aperti mesi fa, non seguono altri account e non hanno follower.

A prima vista sembra il tentativo – molto sfacciato – di censurare le proteste contro la politica zero Covid. Charlie Smith, co-fondatore di GreatFire.org, un gruppo di attivisti digitali con sede in Cina, ha spiegato all’emittente Cnn che l’ondata di messaggi assurdi su Twitter “sta accadendo non solo nello Xinjiang, ma su qualsiasi questione cinese sensibile al momento. Cerca una qualsiasi città che abbia visto un aumento dei casi di Covid o che abbia avuto proteste per strada nel fine settimana e vedrai la stessa cosa”.

La campagna da parte di sospetti account bot è uno dei primi grandi test di lotta alla disinformazione per Twitter da quando la piattaforma è stata acquistata da Elon Musk. In Cina, Twitter è ufficialmente bloccato, ma le stime del numero di utenti sono comunque tra 3 e 10 milioni.

E nonostante i divieti, negli ultimi giorni Twitter è arrivata al nono posto tra tutte le applicazioni più scaricate su iOs in Cina (una settimana fa era al 150° posto), secondo il monitoraggio di SensorTower. Per accedere all’app è necessario uno strumento per eludere la censura o una rete privata virtuale (o un Vpn). Su Android non è possibile calcolare le attività giacché Google Play non è disponibile in Cina.

Chi protesta contro le misure anti-Covid e la limitazione delle libertà individuali in Cina ricorre alle applicazioni di appuntamenti e piattaforme di social network per eludere la censura e organizzarsi. Video, immagini e resoconti degli oppositori alla gestione della pandemia si sono riversati nel cyberspazio. Secondo l’agenzia Reuters, le autorità cinesi hanno negato tutte le accuse pubblicate sui social, ma questo non ha fermato le proteste sulle app Weibo e Douyin.

“I manifestanti che comunicano tramite l’app WeChat, la più popolare ma anche la più censurata, mantengono le informazioni al minimo indispensabile”, si legge su Reuters. I luoghi degli incontri vengono forniti senza una spiegazione, o trasmessi con coordinate cartografiche e mappe sullo sfondo di un post.

Ugualmente, i manifestanti cinesi hanno creato gruppi Telegram per condividere informazioni. Le piattaforme sono lo spazio in cui si condividono suggerimenti su cosa fare se vengono arrestati, ad esempio come cancellare i dati da un telefono.

Twitter, la censura cinese e il boom della protesta digitale

Nonostante i divieti, negli ultimi giorni Twitter è arrivata al nono posto tra tutte le applicazioni più scaricate su iOs in Cina (una settimana fa era al 150° posto). Cosa sta succedendo sulla piazza digitale e quale ruolo hanno i social per il movimento dei giovani cinesi?

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