Skip to main content

Nel corso della campagna elettorale italiana di quest’anno, il nuovo presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, ha espresso una posizione fortemente scettica nei confronti della Cina. In modo insolito per un candidato alla carica di premier, ha rilasciato un’intervista alla Central News Agency di Taiwan. Ha inoltre promesso una revisione del programma di investimenti infrastrutturali globali della Cina, la Belt and Road Initiative (BRI), per la quale l’Italia ha firmato un memorandum d’intesa nel 2019 – una decisione che considera un “grande errore”.

La coalizione di governo italiana è composta da Fratelli d’Italia, partito di destra di Meloni, dalla Lega di Matteo Salvini e da Forza Italia di Silvio Berlusconi. I tre partiti hanno alle spalle una serie di posizioni diverse nei confronti della Cina. Al governo, hanno amplificato le loro narrazioni (a favore o contro la Cina), ma poi non sono riusciti a dare seguito alle loro azioni, che tendevano a essere molto più in linea con l’approccio di altri Paesi europei. Fratelli d’Italia è ora al governo per la prima volta, ma per il momento sembra agire in modo molto più moderato di quanto potesse sembrare in campagna elettorale.

I primi mesi del nuovo governo hanno mostrato un alto livello di continuità sulla Cina tra il governo Meloni e quello del suo predecessore. Mario Draghi aveva adottato una posizione in linea con la valutazione dell’Unione europea sul Paese come “concorrente economico e rivale sistemico”. Per esempio, aveva bloccato o impedito l’acquisizione di imprese italiane da parte di società cinesi e ha rafforzato l’allineamento transatlantico.

Meloni e Xi Jinping si sono anche incontrati a margine del G20 di Bali quest’anno, ma questo vuol dire poco per l’approccio politico generale dell’Italia. L’incontro è stato più amichevole di quanto ci si potesse aspettare per un leader europeo che solo poche settimane prima aveva condannato a gran voce le azioni cinesi nello Stretto di Taiwan. Meloni ha anche accettato l’invito di Xi a recarsi a Pechino. Ma anche questo non è un segnale di avvicinamento dell’Italia alla Cina, bensì di ristabilire un tipo di relazione diplomatica ordinario. Le visite in Cina non sono certo un’eccezione per i leader europei: poco prima dell’incontro di Bali, il cancelliere tedesco Olaf Scholz è stato il primo leader del G7 a recarsi in Cina dopo lo scoppio del Covid-19.

Lo stesso vale per un’altra parte della coalizione della Meloni. Il nuovo ministro degli Esteri, Antonio Tajani, è un esponente di Forza Italia e proviene da un ambiente scettico nei confronti della Cina. Nel 2019, da presidente del Parlamento europeo, Tajani si è opposto alla decisione dell’Italia di firmare il memorandum d’intesa sulla BRI. Poco dopo il G20, Tajani ha avuto una telefonata con il ministro degli Esteri cinese, il cui contenuto era costituito dalle solite formule diplomatiche sul rafforzamento delle relazioni economiche, ma poco più. L’era dei grandi accordi e delle cerimonie di firma ad alto livello è finita da tempo. Allo stesso modo, ci sono poche indicazioni che il governo italiano farà qualcosa per ostacolare l’esportazione di prodotti italiani in Cina.

La politica della Lega sulla Cina ha avuto alti e bassi, e poi di nuovo alti. È stato un governo della Lega in coalizione con il populista Movimento 5 Stelle a mettere la firma sulla BRI nel 2019 durante una visita di Stato concessa a Xi. Tuttavia, poche settimane prima della firma, alla fine del 2018, la Lega ha deciso di prendere le distanze dalla BRI su pressione di Washington. Di conseguenza, Salvini non ha partecipato agli eventi ufficiali durante la visita di Stato e ha pubblicamente lamentato il fatto che la Cina non sia un’economia di mercato. Nel luglio 2020 ha manifestato davanti all’ambasciata cinese a Roma a sostegno della libertà dei cittadini di Hong Kong. Ma l’anno successivo si è recato in visita all’ambasciatore cinese a Roma in qualità di leader di partito, ufficialmente per discutere della situazione in Afghanistan. A oggi, la posizione della Lega sulla Cina rimane poco chiara; è probabile che segua Fratelli d’Italia sulla politica cinese.

L’Italia è stato il primo e unico Paese del G7 ad aderire alla BRI. Con la revisione promessa da Meloni, potrebbe essere il primo Paese a lasciare l’iniziativa; questo potrebbe innescare un processo che porti altri Stati europei a fare lo stesso. Nel 2021, la Lituania è stata la prima ad abbandonare il formato di cooperazione “17+1” tra la Cina e i Paesi dell’Europa centrale e orientale. Altri hanno poi fatto lo stesso.

Nel frattempo, rimane il problema di come gestire gli investimenti cinesi nelle imprese italiane. Bloccare questi accordi è un’occasione da non sottovalutare per il nuovo governo. Dopo tutto, l’approccio di Draghi è stato altamente protettivo nei confronti degli asset italiani, come quando ha bloccato l’acquisizione da parte di Shenzhen Investment Holdings dell’impresa italiana di semiconduttori Lpe. È improbabile che il nuovo presidente del Consiglio nazionalista italiano sia contrario a fare scelte di questo tipo. In un discorso al Senato, Meloni si è esplicitamente opposta agli investimenti predatori nell’industria italiana di importanza strategica. Il suo ministro delle imprese e del made in Italy (precedentemente noto come ministro dello Sviluppo economico) Adolfo Urso, ha già dichiarato l’intenzione del governo di rafforzare ulteriormente il meccanismo di screening italiano per gli IDE, includendo nuovi aiuti statali per le imprese italiane colpite dalla decisione di bloccare alcune transazioni. Ha inoltre lasciato intendere che il governo potrebbe rivedere gli accordi già conclusi che coinvolgono investimenti cinesi.

A questo proposito, il governo italiano potrebbe contribuire a rafforzare la posizione dell’Unione europea nei confronti della Cina. L’unica avvertenza per i responsabili politici dell’Unione europea è che la natura nazionalista del governo significa che non lo farà in modo da cedere pubblicamente la sovranità o i poteri decisionali alle istituzioni dell’Unione europea. Per esempio, è probabile che l’Italia sia favorevole a meccanismi europei più forti per lo screening degli investimenti, ma non ad accordare maggiori poteri alla Commissione europea.

Nella politica estera italiana, la Cina rimarrà in secondo piano rispetto all’Unione europea, agli Stati Uniti e ai Paesi amici. Resta da vedere se l’Italia farà i conti con la Cina, soprattutto se effettuerà davvero una revisione anticipata della sua partecipazione alla BRI. Ma se il governo Meloni si atterrà alle posizioni precedentemente espresse sulla Cina, l’Italia potrebbe contribuire più attivamente alla definizione di una strategia per la Cina che dia priorità agli interessi nazionali e anche a quelli dell’Unione europea.

 

Questo articolo è stato pubblicato il 21 dicembre sul sito dello European Council on Foreign Relations (traduzione di Formiche.net)

Via della Seta. Italia unico Paese G7 ad aderire, primo a uscire? Scrive Ghiretti (Ecfr)

Di Francesca Ghiretti

L’approccio “Italy First” di Roma nei confronti della Cina non comprometterà necessariamente la strategia europea, anzi potrebbe addirittura rafforzarla. Il commento di Francesca Ghiretti, analista del Mercator Institute for China Studies e visiting fellow dello European Council on Foreign Relations nel progetto “European Caucus on China”

Tre o quattro cose da sapere prima di chiudere la porta al Mes

Ratificare il nuovo accordo intergovernativo non vuole dire fare una richiesta di finanziamento al Mes. Non ratificarlo, e quindi impedire ad altri Stati dell’eurozona, di adire ai prestiti Mes (in caso di esigenza) significa uno stigma di Paese poco collaborativo con il resto dei 19 dell’unione monetaria, con i rischi che ciò comporta

La ripresa economica fa aumentare anche la produzione dei rifiuti. Il Rapporto Ispra

Tutti i numeri del Rapporto Rifiuti Urbani 2022 di Ispra, giunto alla sua ventiquattresima edizione e realizzato in collaborazione con le Agenzie regionali e provinciali. Attraverso un sistema conoscitivo completo sui rifiuti

Debito (cinese) non ti conosco. Così Pechino si prende il virus della sfiducia

Oltre al Covid, c’è un altro bacillo che ha colpito il Dragone, forse più subdolo: quello della sfiducia. Nel corso dell’anno ormai agli sgoccioli, fondi e investitori hanno certificato il disimpegno dai titoli cinesi. Nei prossimi mesi la musica non cambierà

Noi, Leo Messi e il colore della pelle. Il barometro di Arditti

In Italia c’è stato un tifo crescente ai mondiali del Qatar per l’Argentina, come testimoniato dai dati Swg. Però come si spiega il tifo decisamente contrario ai nostri cugini d’Oltralpe? Il barometro di Roberto Arditti

Vogliamo riprendere la parola. Fioroni detta la linea per i popolari

Non si tratta di operare scissioni a caso, sull’onda di un fuggi fuggi sotterraneo, spesso per una reazione a lungo trattenuta; bensì di recuperare autonomia di analisi e proposta, con spazi di agibilità politica e con l’impegno a rendere visibile il contributo del popolarismo nei termini consigliati o imposti dalle circostanze. È questa la necessità, anche a prescindere da come vada il congresso del Pd

Foto di DeepMind su Unsplash

ChatGPT è il futuro. Ecco i dubbi del presente

Il nuovo strumento di OpenAI fa molto discutere: da una parte è un mezzo che può diventare centrale nella vita di tutti i giorni, dall’altra i rischi che si porta dietro sono ancora molti. Dalla stessa azienda, non a caso, spiegano che si tratta di una demo che deve essere migliorata. Solo così diventerà lo strumento del decennio, come già molti lo ritengono

Anomalia in volo. Una commissione per capire cosa è successo al Vega C

L’Agenzia spaziale europea e Arianespace hanno lanciato una commissione d’inchiesta indipendente per capire e analizzare le cause dell’avaria che ha condotto al fallimento della missione del Vega C. Intanto dal ministro delegato allo Spazio, Urso, arriva la “piena fiducia” e la sicurezza che l’incidente “non oscurerà l’eccellente lavoro delle imprese italiane ed europee”

Cosa cambia sul gas con il price cap? Dubbi e certezze secondo Nicolazzi

Conversazione con l’esperto e manager: “La Bce al contempo paventa che il price cap inneschi turbative finanziarie; e il direttore di Acer, l’agenzia europea per l’Energia che è coinvolta nella gestione del price cap, si dice ‘reluctant to rely on this gas price cap’ per contrastare le turbolenze di prezzo. Sembrerebbe di poter dire tutti insoddisfatti, tranne Consiglio e Commissione”

Appello per gli armeni, isolati e nuovamente vittime

Di Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud

L’Armenia (e l’Artsakh), essendo un Paese che è legato da sempre all’Unione Sovietica prima e alla Federazione Russa poi, ha pagato carissimo ogni suo tentativo di occidentalizzazione, considerando che la sicurezza dei suoi confini è in qualche modo garantita solo dai russi. L’intervento di Antonia Arslan e Vittorio Robiati Bendaud

×

Iscriviti alla newsletter