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Le contro-sanzioni russe, studiate a tavolino da un Cremlino spaventato per la prima volta dal possibile sganciamento dell’Europa dalle forniture dell’ex Urss, cominciano ad assumere un tono sinistro. Qualcosa lo si era già capito nelle settimane scorse con una prima zampata, quando Mosca aveva deciso di congelare tutti gli asset che le imprese e le banche occidentali avrebbero voluto cedere al fine di completare il disimpegno dalla Russia, in risposta all’aggressione contro l’Ucraina.

Ora, un altro passo avanti. L’ultimo avvertimento, ha scritto Reuters, è arrivato nei giorni scorsi, con un decreto del Cremlino che di fatto impedisce ai Paesi cosiddetti ostili di vendere pacchetti azionari nei settori dell’energia e delle banche sino alla fine dell’anno. Un avvitamento nell’ambito delle sanzioni russe alle imprese occidentali ancora in loco, dal momento che non si tratta più di impedire la fuga di aziende e banche considerate per l’appunto ostili, bensì di fermare sul nascere ogni tentativo di disimpegno, anche il più piccolo, in qualunque industria strategica russa. In altre parole, l’occidente e le sue imprese debbono rimanere al servizio dell’economia dell’ex Urss.

E pensare che lo scorso luglio, il governo russo aveva minacciato misure analoghe, agitando lo spettro della nazionalizzazione. In quell’occasione il vice ministro Alexei Moiseev aveva lanciato un appello alla finanza internazionale, spiegando che “finché la situazione non migliorerà, non daremo l’autorizzazione alla vendita delle controllate di banche estere e dei loro asset in Russia”. Il nuovo decreto comunque non riguarda solo gli istituti di credito, ma anche lo strategico settore dell’energia. C’è peraltro chi ritiene che la misura sia stata definita appositamente per impedire l’uscita di Exxon dal progetto Sakhalin-1 che coinvolge anche la Rosneft oltre a società giapponesi e indiane.

Proprio pochi giorni fa, il gigante petrolifero statale ha infatti incolpato la Exxon per il calo della produzione del gruppo di giacimenti Sakhalin-1, dopo che la major energetica statunitense ha dichiarato di essere in procinto di trasferire la sua partecipazione del 30% “a un’altro soggetto”. Ora, secondo il decreto, Vladimir Putin potrebbe concedere una deroga speciale in alcuni casi, da iscrivere in un’apposita lista all’esame del Cremlino.

Tutto questo mentre alcune grandi banche europee e americane, tra cui Unicredit, Intesa, la statunitense Citi e l’austriaca Raiffeisen continuano a cercare opzioni per uscire dalla Russia, mentre altre banche come Sociéte Genérale e Hsbc hanno già trovato una via di fuga.

Al servizio della Russia. Putin mette la camicia di forza alle aziende occidentali

Dopo una prima stretta di luglio, con cui il Cremlino ha congelato la dismissione degli asset dei Paesi ostili in loco, ora Mosca blocca sul nascere ogni minimo disimpegno azionario dalle grandi industrie strategiche della Federazione. Nel mirino c’è (forse) Exxon Mobil

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