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L’incontro di Teheran di martedì 19 luglio si svolgerà (formalmente) nell’ambito del conflitto in Siria, ma gli argomenti trattati a latere saranno diversi, e tutti di grande importanza. L’Iran, impegnato nelle negoziazioni “sul nucleare” con gli Stati Uniti, si era premunito di dare alla comunità internazionale importanti segnali nell’ottenere lo spostamento della sede delle negoziazioni dall’Austria al Qatar, ed ancor più nel chiedere l’associazione ai Brics, dei quali la “R” è la Federazione Russa. Questa in Siria opera in opposizione alla Turchia ed insieme all’Iran, col quale condivide ora lo status di Paese sotto sanzioni.

Le tre parti vivono giorni cruciali: occorre fare un punto di situazione per comprendere cosa aspettarci martedì.

  • La Turchia, maestra nel giocare su più tavoli, deve difendere i suoi interessi vitali nei settentrioni siriano ed iracheno, giardino di casa condiviso appunto con l’Iran. L’akp deve trionfare nelle elezioni del 2023, centenario della Repubblica che vorrebbe vedere il sorgere della Yeni Türkiye (la “nuova Turchia” post-kemalista). Ankara accelera i processi di messa in sicurezza dei dossier più importanti: la “pacificazione” siroirachena (leggi: neutralizzazione di Pkk e Ypg) ed il mantenimento di una relazione fruttuosa con la Russia pur restando saldamente nella Nato (e avendo un elettorato che della Nato si disfarrebbe volentieri). La desiderata equidistanza con Ucraina e Russia porta Ankara a prove di equilibrismo difficili: se a inizio marzo aveva inviato in Russia Ethem Sancak, dirigente dell’Akp (con la leadership del Vatan Partisi di Doğu Perinçek, vicino a Mosca ed a Pechino) per esprimere il rammarico per l’uso anti-russo che glu Ucraini stavano facendo dei droni turchi, aggiungendo poi che l’Alleanza Atlantica è per la Turchia “un errore” che mina la democrazia turca, è di fine giugno la notizia che la Baykar, gestita anche dal genero del presidente, Selcuk Bayraktar, fornirà gratuitamente agli ucraini 3 droni da combattimento “per la difesa della loro Patria”. Nella questione è coinvolta anche la Lituania, che avrebbe raccolto i fondi necessari all’acquisto dei droni (poi rimessi dalla Bayrak stessa). La cosa avveniva contemporaneamente al minacciato veto all’ingresso dei nordici nell’Alleanza: non c’è bisogno di troppe elaborazioni per vedere nella questione un interessamento diretto dell’Alleanza stessa, sempre tramite una Lituania spesso protagonista di tante vicende che richiedono particolare slancio.

 

  • Le congiunzioni astrali in atto portano anche l’Iran in una condizione complessa: il governo in carica ha ereditato dal precedente un accordo sul nucleare reso inattuabile dal ritiro statunitense. Rouhani aveva giocato ogni carta possibile per far rientrare il suo Paese nella normalità, tentando di ricondurre l’azione esterna del Paese alla sola responsabilità del Ministero degli Affari Esteri. Ora il governo Raisi fa l’opposto. È la dualità dell’azione di governo persiana il concetto chiave per comprendere l’ (in)efficacia dell’azione estera che tutti i governi persiani post-rivoluzionari possono sperimentare. Pur godendo della stima della Guida Suprema, l’ex Ministro Zarif era entrato in opposizione con Qassem Soleimani, che svolgeva di fatto il ruolo di segretario di Stato in tutta la Mezzaluna sciita per rappresentare gli interessi che si incarnano proprio nella Guida (il complesso militare industriale e finanziario che gli fa capo). L’attuale ministro Amir-Abdollahian li incarna perfettamente e riconduce ad unità le piramidi che hanno il loro vertice nella Guida e nel Presidente Reisi. Un interesse persiano nel far rivivere l’accordo sul nucleare è evidente, e si credeva più vicino dato che col nuovo Governo sarebbero stati i soli rivoluzionari a spartirsi i dividendi, potendo lasciare da parte i riformisti. Ma le negoziazioni con gli Stati Uniti sembrano stagnare perchè non si desidera scendere a compromessi fondamentali: l’Iran ha, ed avrà sempre con qualsiasi Governo, la priorità vitale di difendere l’indipendenza dell’Īrānshahr (lo spazio vitale della nazione persiana, dal Golfo persico al Levante) da qualsiasi ingerenza esterna. Sono i famosi concetti di “indipendenza” e “dignità nazionale”, in voga sin dal 1952. L’Iran è refrattario all’idea di entrare in qualsiasi sfera di influenza, perché la sua natura imperiale fa dell’Iran stesso il suo fulcro. I persiani temono che gli Stati Uniti non lo possano/vogliano garantire. Il Paese potrebbe dunque aver voluto mostrare interesse all’ingresso nei Brics per minacciare gli Stati Uniti con lo shift strategico, che li priverebbe delle capacità energetiche iraniane e sancirebbe il delinearsi di un nuovo “blocco orientale” ricco di quelle risorse che l’Occidente non ha a sufficienza. Questo mese proprio Russia, Iran e Turchia hanno già reso noto che una loro cooperazione nel campo automobilistico potrebbe raggiungere un mercato di 800 milioni di consumatori (uno smacco per la stagnante industria dell’automotive occidentale). L’operazione di cesura est-ovest sarebbe poi perfezionata con la creazione di un sistema di pagamento alternativo allo Swift. L’Iran andrebbe perso, e ad aggiungersi agli alleati di Russia e Cina. O forse è un bluff, dimostrato dalla volontà persiana di coltivare buone relazioni con un Vaticano “nuora” della “suocera” statunitense, anche dopo l’ostilità a Teheran indirettamente dimostrata da Francesco durante la visita in Iraq.

 

  • La Russia vuole concedere, far intendere di essere la parte dominante del trio.

Martedì dobbiamo attenderci un’intesa fra Iran e Turchia sul “via libera” a quest’ultimo per le operazioni nell’Iraq del Nord (le precedenti infastidivano Teheran), un altro con la Russia sulla Siria settentrionale, un impegno per una stabilità in Siria che potrebbe passare per l’accettazione definitiva di Assad, un impegno turco a far passare il grano dall’Ucraina ai mercati mondiali. E magari che Ankara faccia passare qualche messaggio da oltreoceano.

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