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L’intervento dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, alla festa in onore del patrono di Como, il cui vescovo è stata appena nominato cardinale, forse voleva essere sarcastico, di certo a me è parso inopportuno. I fatti sono questi: Mario Delpini è arcivescovo, nominato da Francesco, della diocesi di Milano e presidente della conferenza episcopale lombarda. Monsignor Oscar Cantoni è vescovo di Como, diocesi vicina e molto piccola, basta.

Francesco in occasione del recente concistoro ha nominato quest’ultimo cardinale. E ieri, nella citata occasione, i vescovi lombardi hanno festeggiato il loro confratello. Nel suo intervento monsignor Delpini ha detto che alcuni hanno chiesto in modo sgradevole perché il papa abbia nominato cardinale il vescovo di Como e non il vescovo metropolita. Non conosco le intenzioni di Delpini, ma a me sembra che il risultato sia questo: la festa di Cantoni è diventata la discussione su Delpini. Il vescovo di Milano ha indicato tre motivi: forse il papa ha pensato che lui, Dal Pini, ha molto da fare, che un vecchio adagio dice che nessuno sa cosa pensino i gesuiti, infine che lo scudetto sta sempre a Milano, non a Como e Bergoglio, “tifoso del River”, queste cose le sa.

Questa ultima osservazione mi ha molto colpito, non per il paragone con il campionato, ma perché Bergoglio è tifoso, non del River, bensì del San Lorenzo. Lui stesso fece sapere quando eletto papa che aveva rinnovato l’abbonamento al San Lorenzo, non al River. Questo errore, lo capirà ogni tifoso, è da matita blu. Per la scarsa attenzione che dimostra anche all’ironia. Dunque si può pensare che fosse ironico il discorso del vescovo di Milano? Io temo di no.

Una mentalità a lungo consolidata e che Francesco ha smontato non solo nel caso di Milano, voleva l’esistenza di sedi cardinalizie. Che vuol dire? Vuol dire che nel Sacro Collegio avevano posto i titolari delle più grandi diocesi. Da qui una gerarchia: i vescovi delle diocesi più importanti sono i più importanti, e tocca a loro diventare principi della Chiesa. I vescovi delle piccoli diocesi devono crescere, diventare più importanti vorrà dire assumere la guida di una diocesi maggiore. Ora non è più così. L’arcivescovo di Palermo non è cardinale, lo è però quello di Agrigento. Per Francesco si chiama “attenzione alle periferie”. Per i custodi del vecchio ordine si chiama rottura delle gerarchie. La gerarchia è verticista, non ci vuole poi tanto a capire che in Francesco è importante invece dare risalto e ascolto alle periferie. Dunque dalla Sicilia vuole privilegiare un ascolto che coinvolge l’isola di Lampedusa, per esempio. Como invece non è un sottoscala di Milano, penso io.

Quando Francesco critica il clericalismo critica questa cultura che non so se monsignor Delpini volesse lodare o mettere in ridicolo. Se l’intenzione fosse stata la seconda dico che a mio avviso non c’è riuscito.

Pochi giorni fa Francesco ha tessuto le lodi di Celestino V: lo ha definito l’uomo del sì, non l’uomo del no. Non fece nessun gran rifiuto, fu umile e osò rinunciare perché, vecchio e malato, pensò che questo fosse il modo migliore per servire la Chiesa. Monsignor Delpini, parlando sul serio, avrebbe potuto rallegrarsi che la piccola Como avesse un grande incarico, non sentirlo come una diminuito di Milano. Scherzando invece avrebbe potuto ricordare auspicare che finalmente per chi abita intorno al lago di Como si apra una pagina nuova, dopo quella di Don Abbondio, che nessun ancor sa riabilitare.

Non  pretendo di capire io cosa pensino i gesuiti, ma una battuta del genere a Francesco a mio avviso sarebbe piaciuta di più del farlo diventare tifoso del River. Dimostrando non piaggeria verso il capo, ma desiderio di dimostrare che anche cosa pensino i gesuiti si può, se non capire, almeno immaginare. E pure con quel senso dell’ironia che fa tanto bene alla Chiesa, e non solo.

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