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I movimenti sono vampate passionali: raramente si solidificano trasformandosi in partiti; nella maggior parte dei casi si dissolvono. Tutti i partiti hanno iniziato la loro strada in forma di movimenti ma non tutti i movimenti sono riusciti a diventare partiti. E, se ci sono risusciti, hanno dovuto rinunziare almeno in parte a obiettivi e azioni adottate nella fase movimentista.

I 5 Stelle stanno per riuscire in questa avventura, dopo la lunga e faticosa metamorfosi che hanno realizzato. Ma non è detto che ci riusciranno. Alle elezioni politiche del 2018 ottennero un clamoroso 32,7% grazie alla compresenza di quattro punti di forza: il carisma di Beppe Grillo (e quello persistente di Gianroberto Casaleggio), l’ala movimentista, l’ala governativa, la piattaforma Rousseau. Oggi Grillo è assente, Alessandro Di Battista è fuori, la piattaforma è dismessa. Di quella stagione resta Luigi Di Maio.

Giuseppe Conte è entrato in scena dopo la vittoria elettorale come premier di due governi consecutivi. Poi, lasciato il ruolo di presidente del Consiglio, ha dedicato più di un anno a elaborare lo statuto e a dare forma organizzativa partitica a un movimento funestato dal dissidio con Davide Casaleggio e dalle vicende giudiziarie presso il tribunale di Napoli.

La copertina del libro

A dire il vero, Conte e Di Maio sono gli unici due cavalli di razza emersi alla ribalta della vita politica italiana negli ultimi decenni e sono complementari sotto molti punti di vista (età, cultura, carattere, esperienza, ecc.). Se tra loro fosse scattata una robusta sinergia, probabilmente avrebbero dominato per molti anni l’intera scena politica italiana. Purtroppo, per motivi prevalentemente caratteriali, invece di sommarsi, si sottraggono. E il loro dissidio rischia di interrompere definitivamente l’itinerario dei 5 Stelle da movimento a partito lasciando sul terreno i cocci di questa ennesima utopia.

In tal caso Conte manterrebbe la leadership di ciò che resterà del Movimento, magari aggiungendo il suo nome nel simbolo; i ministri e i parlamentari finirebbero dispersi in vari partiti; alcuni di essi creerebbero proprie aggregazioni come ha fatto Paragone e come sta facendo Giarrusso. La base si disperderebbe in tutte le direzioni ma la maggior parte andrebbe a ingrossare la massa già enorme degli astensionisti.

Questa deflagrazione rappresenterebbe per la destra un grande, auspicato e atteso regalo. Il Pd sarebbe costretto a rivedere la strategia delle sue alleanze virando verso il centro. La sinistra subirebbe uno smacco clamoroso alle elezioni politiche, sempre più vicine. Per un’eterogenesi dei fini, i 5 Stelle metterebbero a soqquadro l’intero sistema politico italiano ma con esiti affatto diversi da quelli cui Grillo e Casaleggio miravano tredici anni fa.

Conte, Di Maio e la fine di una bella utopia. Scrive De Masi

Di Domenico De Masi

Da movimento in partito: la metamorfosi dei 5 Stelle è vicina, il successo tutto tranne che scontato. Conte e Di Maio potevano conquistare la politica italiana. Lo scontro rischia di far deflagrare per sempre una bella utopia. Il commento del professor Domenico De Masi, in libreria con “La felicità negata” (Einaudi)

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