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L’arresto in Ucraina di Viktor Medvedchuk trasmette un’immagine forte, anche per il Cremlino. Il volto stanco, la mimetica per camuffarsi e cercare di passare da militare ucraino, i capelli arruffati, lo sguardo spento: lui, oligarca da un miliardo di dollari di patrimonio stimato. Se il piano militare di Vladimir Putin prevedeva che l’invasione portasse a una presa rapida di Kiev, il passaggio successivo era quello di instaurare un governo fantoccio, amico della Russia, da poter gestire. Niente di meglio di Medvedchuk per lo scopo, leader di “Piattaforma di Opposizione – Per la Vita”, primo dei partiti filo russi ucraini, amico personale di Putin (che è anche padrino della figlia).

E invece l’assalto alla testa dello Stato – la decapitazione della “giunta nazista”, come la chiama il Cremlino, di Volodymyr Zelensky – non è riuscito. Putin si è trovato costretto a ribadire anche ieri, martedì 12 aprile, che l’obiettivo è quello di “liberare il Donbas”, un ridimensionamento importante. I militari russi hanno ripiegato da Kiev, hanno rinunciato al centro-nord, al cuore del Paese, e si sono ridiretto nell’Est. Se all’immagine del fallimento del piano iniziale dell’assalto armato a Kiev mancava un tassello, l’arresto di Medvedchuk chiude il puzzle. È come se l’Ucraina avesse obliterato entrambe le componenti del progetto putiniano di partenza.

Che questo progetto sia in sofferenza lo dimostrano anche le ricerche per i rinforzi: miliziani siriani, contractor privati, ridispiegamento di forze secondarie dalla Georgia, aiuti militari cercati tra partner improbabili come la Corea del Nord o le milizie sciite amiche dei Pasdaran. Ma manca pure la spinta narrativa. Un’altra immagine pesante è l’arresto – o meglio dire, presunto arresto – di Vladislav Surkov, “cardinale grigio” della Novorossiya, un tempo pensatore numero uno tra la cerchia di fanatici che circonda Putin, teorizzatore della necessità di russificare l’Ucraina e di andare oltre alla destabilizzazione del 2014 (la guerra in Donbas e l’annessione della Crimea).

Fu protagonista dei Surkov Leaks, una serie di email diffuse da un gruppo hacker ucraino, CyberHunta, dopo essere state sottratte nel 2016 dalla sua casella istituzionale: erano piene di riferimenti espliciti alla conquista di cuori, menti e territorio in Ucraina. Già nel 2005 teorizzava la “democrazia guidata”, ossia democrazia sì ma le decisioni dovevano essere guidate dalle leadership (come succede in Russia). Da lui arriverebbe anche l’idea di affidare la Cecenia a un risolutore spietato come Ramzan Kadyrov, giovane leader disposto a tutto – e infatti a lui fu affidato il lavoro sporco successivo alle guerre per conto del Cremlino.

Surkov è l’ideologo che sostiene – come fatto a inizio anno, in una sorta di anticipazione a carte scoperte della narrazione sull’invasione che sarebbe stata lanciata il 24 febbraio – che la Russia è chiusa da confini che vennero imposti ai bolscevichi nel 1918, con la pace di Brest-Litovsk – quella che i comunisti chiamavano la “pace indecente”. Per questo teorizza che la Russia torni sempre più attiva sul piano geopolitico, una necessità (di allargarsi) per difendere identità e carattere nazionale.

Ora, dopo che Putin ha ripetuto in più occasioni i suoi pensieri, sarebbe ai domiciliari a Mosca, accusato di aver deviato nei suoi conti fondi che il Cremlino aveva stanziato per le operazioni in Donbas post-2014 (ossia, rubava i soldi che Mosca aveva messo a disposizione, seguendo le sue teorie, per finanziare il progetto ucraino: capolavoro). Tuttavia ci sono dubbi sul suo arresto, perché non è chiaro se è stata solo un’operazione di infowar interna studiata dai generali – che vorrebbero far pagare a Surkov il conto della dottrina che li ha portati a sacrificarsi in Ucraina.

Viktor Medvedchuk

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