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Ma sì, è lui. Quel signore attempato ma giovanilmente ultra curato; con la fede al dito e i capelli perfettamente allineati e privi di qualsiasi villano biancore; che parla al microfono fedele al doppiopetto che nessuno usa più da decenni ma solo lui può riproporre; che vellica i suoi aficionados – alcuni schiantati dall’età che avanza e che invece scansa il leader – con parole d’ordine pure loro vetuste ma non invecchiate, e qualcuno dice che è un bene e altri ascoltandole scrollano le spalle con un misto di rabbia e rassegnazione .

Sì, è lui, è Silvio Berlusconi, indomabile Rieccolo d’Italia, pronto a scendere in campo (che altro?) per rimettere il Paese sui giusti binari, e per riuscirci capace anche di rinnegare vecchie amicizie – vero Putin? – e rinverdire parole d’ordine inscalfibili: l’amicizia con gli Usa, la Nato, il no alle tasse, lo scudo per la casa.

È Silvio Berlusconi come te l’aspetti e come un pezzo d’Italia, assai meno largo del passato eppure ancora determinante politicamente, lo reclama. L’effetto è quello di un vecchio film, che hai tanto amato e tantissimo visto, che ti capita sott’occhio mentre fai zapping e lo riconosci subito e subito ti avvinghia. Stai lì sa guardarlo, conosci a memoria trama e protagonisti, sai come va a finire e compìti le battute, non c’è niente che può sfuggirti eppure butti via il telecomando e non puoi far altro che arrivare alla fine.

Berlusconi è questo, l’impasto tra l’arci italiano e il Totem piantato in Europa nel pratone del Ppe; il connubio tra il finto matrimonio e il vero interesse per gli affari; il mix di fascinazione e trash, apparentemente intramontabile, realisticamente inevitabile.

A chi e a cosa serve un Berlusconi così? Innanzi tutto a sé stesso, alla riproposizione di un mito vincente che niente delega e tutto riassume e sussume, con buona pace del pretermesso Giuseppi e del nipote dell’amico di una vita come Gianni Letta. E poi a riproporre lo schema politico che ha fondato e che vuole continuare a sciorinare: il centrodestra alternativo alla sinistra e adeguato a svolgere funzioni di governo; che ha il suo patrimonio ideale e non vuole rinunciarci e di cui il Cav è custode e dispensatore di certificati di autenticità e coerenza. Il bottino dei consensi si è ridimensionato, è vero.

Eppure serve ancora, possiede una strutturata utilità marginale tanto che “nessun maggioranza né di centrodestra e neppure di centrosinistra è possibile senza Forza Italia”. Un godimento per lui; un giogo non aggirabile per tutti gli altri.

Adesso c’è la guerra e Berlusconi che ridiscende in campo non può esimersi da una scelta di campo. È quella genuinamente occidentalista per nulla imbarazzata dal dover ripudiare le amicizie e le interconessioni con il Cremlino, le foto a meno venti con in testa i colbacchi e la “delusione” provocata da Vlad che deve ordinare subito il cessate il fuoco se vuole abbandonare il girone dei reietti. Sapendo che se gli serva una bussola per orientarsi, chi meglio del Cav?

Quanto vale un Berlusconi riproposto e soi-disant indispensabile? Lo si capirà nei prossimi mesi e soprattutto all’avvicinarsi delle elezioni politiche dell’inizio 2023. Tuttavia innegabile è la spinta che avverte un primattore che voleva diventare Divo salendo al Quirinale e ha dovuto rinunciare per impraticabilità di campo, ma ha capito che la partita ricomincia e lui può piazzarsi ancora una volta al centro del gioco.

Berlusconi ha investito Matteo Salvini dell’aureola di “unico leader vero che c’è in Italia” e glorificato Antonio Tajani “capace da 28 anni di non sbagliare mai una dichiarazione”. Può essere l’assegnazione di parti per la rappresentazione politica che verrà, magari all’indomani di una Federazione o addirittura di una fusione FI-Lega. Ovviamente manca Giorgia, ma Silvio è convinto di poterla recuperare all’occorrenza senza troppa fatica.

Così il centrodestra d’antan si riaffaccia senza neppure dover cambiare pelle. Può godere del fatto piuttosto significativo che i consensi al suo interno si redistribuiscono ma non esodano. È la migliore garanzia per riacquistare palazzo Chigi se gli italiani terranno ferme le loro preferenze scandite dai sondaggi. E in quel caso Berlusconi vuole essere sempre il Lord Protettore che dà le carte. Indicando con un sospiro a Mario Draghi la strada per tornare ad essere un supertecnico.

Il superpolitico, immarcescibile, autodefinitosi “il miglior presidente del Consiglio del dopoguerra” già c’è da trent’anni e non conosce eredi. Casomai alunni: a Villa Gernetto sono pronte “lectio, anzi lectiones, magistralis” da Silvio impartite. Perché lui sa anche il latino.

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