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A più di una settimana da quando la Commissione l’ha presentato, il sesto pacchetto di sanzioni europeo – che contiene un embargo graduale sul petrolio russo – il processo è già mutilato. Pesa ancora il veto dell’Ungheria di Viktor Orban, a cui non sono bastate le deroghe e le proroghe. Lunedì non si è fatto ammorbidire dalla visita di Ursula von der Leyen, che pure è rientrata a Bruxelles con cauto ottimismo.

Le discussioni per raggiungere un accordo e garantire a Budapest le garanzie sugli approvvigionamenti alternativi sono andate avanti nella giornata di martedì. In mattinata il presidente francese Emmanuel Macron ha sentito Orban per telefono. La presidenza francese dell’Ue, nella figura di Clement Beaune, ha dichiarato che l’accordo “è possibile in settimana, senza dubbio è questione di giorni”.

Intanto, Malta e Grecia (le cui navi rappresentano più della metà della capacità di carico europea) sono riuscite a far saltare il divieto per le navi battenti bandiera europea di trasportare il petrolio russo. L’inghippo principale sarebbe stata la partecipazione degli altri Paesi del G7: diversi Paesi europei hanno fatto presente che la misura aveva poco senso senza la partecipazione del Regno Unito o degli Stati Uniti (che possono esercitare influenza su altre bandiere-chiave, tra cui Liberia, Isole Marshall e soprattutto Panama).

Tuttavia, pare che il divieto ritornerà non appena i Paesi del Gruppo troveranno l’accordo sull’implementazione. L’intenzione sembra esserci. Nel fine settimana i leader G7 hanno dichiarato che vogliono eliminare “la nostra dipendenza dall’energia russa, anche eliminando gradualmente o vietando l’importazione di petrolio russo. Ci assicureremo di farlo in modo tempestivo e ordinato e con modalità che diano al mondo il tempo necessario per assicurarsi forniture alternative”.

La Germania di Olaf Scholz guida il Gruppo, e settimana scorsa ha fatto cadere le riserve sull’embargo sul petrolio. In più l’Ue ha un’altra carta, potenzialmente devastante, che dovrebbe rimanere nel mazzo del sesto pacchetto di sanzioni: il divieti per gli operatori europei di fornire ai trasportatori di petrolio russo i servizi assicurativi e finanziari, offerti per la maggior parte da compagnie occidentali e di vitale importanza per far funzionare correttamente le rotte del petrolio.

In sottotraccia rimane un altro tema. Quello sollevato tre settimane fa anche da Janet Yellen, segretaria al Tesoro americano: e cioè che un embargo europeo sul petrolio russo, per quanto essenziale, potrebbe fare più male che bene. Probabilmente i Paesi europei finirebbero per pagare caro il greggio, avendo dato ai nuovi venditori il potere di innalzare i prezzi, ha avvertito Yellen. E al contempo la Russia, pur non potendo vendere volumi massicci all’Ue, potrebbe comunque offrire quantità minori a prezzi molto più alti a nazioni amiche o neutrali – come Cina e India (qui la lista di Reuters di chi compra e chi no).

Questo non vuol dire che non sia doveroso imporre l’embargo, ha specificato Yellen. Anzi: “i proventi delle vendite di petrolio e gas sono un’importante fonte di reddito per la Russia” e “sarebbe molto utile cercare di escogitare un modo per ridurre i proventi della Russia da quelle vendite”. Tocca trovare un modo per farlo senza danneggiare l’intera economia globale attraverso l’aumento dei prezzi dell’energia, ha concluso. Continuando ad aumentare la pressione, che la Russia già sconta, anche sul terreno insidioso del petrolio.

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