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Occhio alla sanzione. La bordata rovesciata dall’Occidente contro la Russia, all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, non rischia di mandare knock out solo Putin, ma di fare male anche alla Cina. La quale sembra voler proseguire in quell’atteggiamento tutto sommato equivoco  dichiarandosi da una parte fedele alleata di Mosca ma tenendo ben pronte le sue aziende e le sue banche a prendere il largo in caso di default.

Qualcosa, come raccontato a più riprese da Formiche.net, è già successo. Poche settimane fa alcuni grandi istituti del Dragone hanno deciso di mettere in stand by il flusso dei finanziamenti destinato a Mosca, per l’acquisto di materie prime. Senza considerare la freddezza di Pechino dinnanzi alla possibile necessità del Cremlino di vendere alla Cina quel petrolio che l’Europa si rifiuta di acquistare. Ora però le relazioni commerciali e finanziare tra i due Paesi sembrano complicarsi ulteriormente e sempre a causa della sanzioni imposte da Ue e Stati Uniti.

Secondo l’agenzia Bloomberg, prima della guerra in Ucraina, l’importanza della Russia per la Cina come fornitore di materie prime stava crescendo. Ciò si è consolidato in un’amicizia no-limits annunciata tra le due nazioni in vista delle Olimpiadi invernali di Pechino e celebrata con la firma di nuovi accordi per fornire alla Cina petrolio, gas e grano russi. Poi però, qualcosa si è rotta e la musica è cambiata.

“Immediatamente dopo l’invasione, nonostante i funzionari cinesi abbiano affermato di non essere d’accordo con le sanzioni unilaterali dell’Occidente hanno proseguito le normali relazioni commerciali con la Russia. Eppure, da allora le banche cinesi hanno sospeso il finanziamento alle aziende russe. Ma, soprattutto, il ministro degli Esteri ha affermato che Pechino non vuole essere colpita dalle sanzioni”. Questo, dunque, il vero freno della Cina. La paura che un eccessivo coinvolgimento nel sostegno all’economia russa, possa tradursi in un boomerang. Meglio insomma aiutare, ma a distanza di sicurezza, per evitare di rimanere eccessivamente invischiati rischiando di essere trascinati nell’abisso, in caso di default.

C’è un altro elemento, utile a inquadrare la questione. Sempre secondo Bloomberg, “dopo l’invasione, gli acquirenti cinesi hanno in gran parte evitato le spedizioni russe di carbone e Gnl, oltre a quelle di greggio. Tale esitazione potrebbe essere temporanea. Ma potrebbe anche riflettere le preoccupazioni più profonde delle aziende della Cina di essere intrappolate in sanzioni che potrebbero influenzare gli accordi bancari globali, così come i timori del governo di Xi Jinping di essere esclusi da mercati molto più importanti per le merci cinesi”. D’altronde, la verità è una sola. “Per qualsiasi azienda cinese con operazioni sostanziali all’estero, l’accesso continuo al sistema finanziario statunitense è più prezioso di qualsiasi accordo che può fare con la Russia”.

C’è da dire che la Cina ha i suoi guai grossi in casa. Per esempio, il collasso progressivo del settore tech. Aggrediti a suon di regole, tentate scalate, multe e nazionalizzazioni dal governo cinese, nel corso di questi due anni le grandi tech del Dragone hanno perso gran parte del loro valore in Borsa, assistendo spesso alla demolizione sistematica del proprio capitale, ai minimi dal 2008, l’anno di Lehman Brothers. Oggi l’impero fondato da Jack Ma, Alibaba, vale il 66% in meno, Tencent il 50%. Non può stupire che Jp Morgan abbia sconsigliato gli investitori globali dall’avvicinarsi alle azioni di queste aziende, per i prossimi 6-12 mesi. Esporsi troppo con un Paese sull’orlo del default, non è proprio una buona idea.

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