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Gli sviluppi nel conflitto in Ucraina procedono a rilento. Tanto quelli diplomatici, con l’ultimo round di negoziati tenutosi pochi giorni fa a Istanbul che non ha portato a risultati concreti, che quelli militari, con le forze di Mosca che, forti della superiorità numerica, mantengono l’iniziativa lungo il fronte portando avanti in modo costante costose operazioni offensive che offrono al Cremlino piccoli lembi di terra. Un ritmo completamente diverso da quello della prima fase della guerra, con la prima grande penetrazione russa in territorio ucraino seguita, dopo che questa si era miseramente arenata, alla rapida controffensiva di Kyiv, che ha portato a liberare importanti città e porzioni di territorio occupata da Mosca nei mesi precedenti. Offensiva che, forse, avrebbe potuto essere ancora più d’impatto, se non fosse per degli sviluppi inaspettati.

Infatti, secondo la testimonianza di tre fonti interne a Space X riportate in un’inchiesta di Reuters, durante l’autunno del 2022 Elon Musk in persona avrebbe chiesto la disattivazione di alcuni terminali Starlink nelle zone di conflitto, ostacolando la conduzione delle operazioni militari di Kyiv. Le fonti affermano che Musk ordinò all’ingegnere senior della sede californiana di SpaceX Michael Nicolls di interrompere la copertura satellitare in aree chiave come la regione di Kherson, punto nevralgico della controffensiva ucraina in quel frangente. Poco prima che venissero disattivati almeno un centinaio di terminali, mandando in blackout le comunicazioni di diverse unità militari, Nicolls avrebbe laconicamente detto ai colleghi: “Dobbiamo farlo”. I risvolti sul campo furono immediati, con droni in volo che sospesero il contatto con gli operatori e unità di artiglieria persero la capacità di colpire con precisione. Questa interruzione, secondo fonti ucraine contattate sempre da Reuters, avrebbe impedito alle forze di Kyiv di perfezionare una manovra di accerchiamento di alcune unità russe nei pressi di Beryslav.

Apparentemente, Musk avrebbe agito per timore che una vittoria troppo netta dell’Ucraina potesse spingere Mosca a una rappresaglia nucleare. L’ordine risalirebbe infatti al 30 settembre 2022, poco dopo che il presidente russo Vladimir Putin aveva dichiarato la possibilità di impiegare armi nucleari per difendere “l’integrità territoriale” della Russia. Le autorità ucraine non hanno commentato ufficialmente, ma alcuni membri del governo avrebbero contattato il Pentagono nel (vano) tentativo di comprendere le cause del blackout.

Sia chiaro, Starlink è stato ed è tutt’oggi fondamentale per mantenere la connettività tra le forze ucraine, facilitando le comunicazioni sul campo, il controllo dei droni e la trasmissione di immagini e dati. Alcune delle operazioni più eclatanti condotte dalle forze ucraine (come quelle nel Mar Nero e, forse, anche Spiderweb) sarebbero state impossibili da mettere in atto senza questo sistema. Ma il punto è un altro.

Il caso solleva interrogativi profondi sulla crescente dipendenza dei governi da infrastrutture tecnologiche in mano a pochi attori privati, così come della capacità di questi ultimi di influenzare direttamente la politica (inter)nazionale, e addirittura l’andamento dei conflitti. Con oltre 7.900 satelliti in orbita, Starlink è oggi il principale operatore satellitare globale, fornendo servizi Internet in oltre 140 Paesi e generando, secondo stime, circa 9,8 miliardi di dollari di ricavi per SpaceX nel 2025. Ma il controllo di una così diffusa rete rimane interamente nelle mani di Musk, che può decidere di attivarla e disattivarla selettivamente. Come aveva fatto poco più di un mese fa, in occasione della crisi iraniana. “Il dominio globale di Musk rappresenta un rischio enorme in un settore non regolato”, per dirlo con le parole della parlamentare britannica Martha Lane Fox, ex membra del baord di Twitter prima che venisse acquistato da Musk. “Il controllo [di Starlink] è esclusivamente nelle mani di Musk, consentendo ai suoi capricci di dettare l’accesso [altrui] a infrastrutture vitali”.

La vicenda rappresenta un’ulteriore occasione di riflessione per l’Italia, che in passato si è dichiarata interessata a dotarsi dei servizi Starlink e ad integrarli nella sua architettura telecomunicativa. Qualora Roma decidesse di perseguire questo obiettivo, è necessario che trovi una formula che garantisca la totale indipendenza dalla proprietà e dal management dell’azienda nell’impiego dei suddetti servizi, in virtù del loro molto probabile impiego per questioni relative alla sicurezza nazionale. E se questa formula non esistesse, forse sarebbe opportuno cercare una strada alternativa a quella dei satelliti Starlink.

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