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“Siamo allarmati da un potenziale dispiegamento di forze del Gruppo Wagner, sostenuto dalla Russia, in Mali”, scrive il dipartimento di Stato in una nota: “Siamo a conoscenza di un accordo, che costa 10 milioni di dollari al mese, devia il denaro che potrebbe essere utilizzato per sostenere le forze armate del Mali e i servizi pubblici per pagare il dispiegamento delle forze del Gruppo Wagner di Yevgeniy Prigozhin in Mali”.

La società è stata recentemente sanzionata dall’Unione europea anche in relazione a questa attività maliana, mentre su Progozhin — già sotto sanzioni personali da parte di Bruxelles e Londra — grava da tempo una taglia dell’Fbi con l’accusa di sovvertire i processi democratici statunitensi (relativa alle interferenze in Usa2016). L’uomo, ex imprenditore dei catering soprannominato “lo chef di Putin” in quanto intimo del presidente russo, è considerato il leader della Pmc (sigla internazionale che sta per Private military company).

A lui è affidato – dal Cremlino – il compito di gestire i clienti, chiudere i contratti e posizionare i contractor. Prigozhin nega ogni genere di responsabilità, il Cremlino ogni tipo di collegamento: però chi segue le dinamiche della Wagner non solo nei momenti di cronaca ricorderà che l’imprenditore è da tempo protagonista di questi affari e presente in riunioni importanti (per esempio quella con il capo dei miliziani della Cirenaica al Cremlino).

Delle preoccupazioni su quanto sta avvenendo, in queste settimane se ne è occupato prima il segretario di Stato Antony Blinken al ritorno da un viaggio in Africa, e successivamente ripreso da vari leader europei, prima di tutti i francesi che soffrono la penetrazione russa in un Paese che considerano parte della propria sfera d’influenza e su cui ora Parigi si trova in difficoltà; poi anche dal ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio. Le forze della Wagner “sono note per le loro attività destabilizzanti e le violazioni dei diritti umani”, scrive il rapporto di Foggy Bottom, e “non porteranno la pace in Mali, ma piuttosto destabilizzeranno ulteriormente il Paese”.

Il gruppo Wagner è stato accusato sia dagli Usa che dall’Ue di abusi e azioni che minacciano la pace, la sicurezza, la stabilità, la sovranità e l’integrità territoriale in Repubblica Centrafricana (CAR), per esempio, dove gli uomini della società russa hanno effettuato uccisioni extragiudiziali di membri delle comunità Peuhl, prevalentemente musulmani. Accuse anche per la Crimea, la Siria e la Libia.

Dinamiche simili, azioni di destabilizzazione, lavoro sporco portato avanti per conto del signore di turno, mostrando a questi un sostegno che è inconciliabile con la piattaforma valoriate occidentale. Un modo con cui Mosca si incunea in situazioni complesse e sfrutta la visione autoritaria del mondo come via per la propria promozione internazionale, tutto nell’ambito di quello scontro tra modelli più volte evocato. In questo la Wagner è una sorta di delivery della democratura russa.

“I paesi che sperimentano il dispiegamento del gruppo Wagner all’interno dei loro confini si ritrovano presto più poveri, più deboli e meno sicuri. I casi di Libia, Repubblica Centrafricana, Ucraina e Siria sono esempi dell’impatto dannoso dei dispiegamenti del gruppo Wagner”, scrive la diplomazia dell’amministrazione Biden. In questi luoghi la Wagner ha “alimentato il conflitto e aumentato l’insicurezza e l’instabilità, causando la morte di soldati e civili locali e minando la sovranità nazionale, il tutto mentre impoveriva il tesoro nazionale e deviava risorse essenziali che avrebbero potuto essere utilizzate per costruire le capacità dei servizi armati dei paesi stessi”.

Washington avvisa l’esecutivo golpista di Bamako di non implementare l’accordo con i contractor russi perché questo potrebbe interrompere gli sforzi della Comunità internazionale per sostenere la lotta contro il terrorismo e potrebbe mettere a rischio i contributi di più di 20mila truppe e peacekeepers internazionali che servono il Mali senza costi per il popolo o il governo.

Nel Paese, vale la pena di ricordare, che sono presenti anche forze militari di stabilizzazione inviate dall’Italia. Si trovano là nell’ambito del dispositivo Takuba, task force strutturata dopo la richiesta, nell’aprile 2019, avanzata dal Capo di Stato Maggiore francese agli omologhi europei per la realizzazione di una forza multinazionale europea da schierare nel Paese, tra i più critici nel Sahel, dove è già presente la missione Onu Minusma. La Francia da tempo vuole disimpegnarsi dopo essere stata presente in Mali dal 2013 con l’operazione Serval, con cui è stata protetta Bamoko dall’assalto islamista, poi trasformata nell’onerosa Barkhane, con Parigi che ha subito il peso di anni di impegno senza eccezionali risultati e ha cercato con Takuba di alleviare i carichi (in un momento difficile).

“Gli Stati Uniti deplorano che il governo di transizione del Mali abbia rifiutato di accettare più di 2000 militari e poliziotti Minusma aggiuntivi, di nuovo, senza costi per il Mali, che avrebbero contribuito alla protezione dei civili. Gli Stati Uniti si rammaricano anche del fatto che il governo di transizione abbia ritardato gli sforzi dei partner internazionali per schierare ulteriori truppe e formatori e per rafforzare le operazioni di sicurezza. Chiediamo al governo di transizione di agire per facilitare gli sforzi di assistenza alla sicurezza responsabile e responsabile che mirano a proteggere e dare potere al popolo maliano”, scrive Washington.

In quest’ultima frase il successo russo. Per Vladimir Putin vedere che un Paese (africano, tra l’altro: con tutta l’importanza che l’Africa ha nei piani di sviluppo strategico delle grandi potenze) abbia rifiutato l’aiuto della Nazioni Unite e preferito di essere assistito nel quadro della sicurezza da una società privata russa – per altro controllata nella gestione dal Cremlino – significa aver raggiunto l’obiettivo. Aver sostituito il modello da lui predicato con quello multilaterale promosso dall’Onu su impronta occidentale. Washington ne è consapevole e per questo usa le proprie leve per evitare che questa diventi una tendenza, visto già alcuni precedenti.

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